venerdì 31 maggio 2019


SOGNI & PROFEZIE IN LOVECRAFT

Nei tempi antichi la misteriosa esperienza del sogno era considerata vicina alla profezia e alla comunione con gli dei. Che i sogni siano parte integrante della profezia è stato visto in varie culture per migliaia di anni. Negli scritti giudeo-cristiani i sogni sono molto diffusi. I sogni sono citati sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento. Anche Tertulliano, scrittore paleocristiano attivo nel II secolo d.C., scrisse che “quasi la maggior parte dell'umanità deriva la conoscenza di Dio dai sogni”. Spesso descritti come visioni o rivelazioni, i sogni contenuti nelle Scritture contengono in genere avvertimenti o profezie o magari entrambi. A volte sono specifici e personali, a volte sono più generali, come negli scritti dei profeti dell'Antico Testamento, che avvertono della distruzione finale di Gerusalemme a causa dell'ingiustizia e dell'idolatria. Occasionalmente, un sogno può fornire informazioni sullo stato psicologico del sognatore, come quando Daniel interpreta un sogno di Nabucodonosor che predice che il monarca abbia perso la testa (Daniele 4: 24-26). (Qualcosa di simile al destino del re si verifica nel racconto di Lovecraft, Celephaïs.)

Molte delle storie del Sognatore di Providence sono elaborazioni, o contengono elaborazioni, di sogni che ha avuto lo scrittore. H.P. Lovecraft respinge l'analisi freudiana, molto popolare ai suoi tempi, come semplicistica e volgare. Afferma che i sogni siano esperienze in sé e per sé e costituiscono una realtà alternativa e valida. Scrive nell'apertura di Oltre il Muro del Sonno, dove descrive la coscienza dei sogni, “il cui effetto vagamente eccitante e inquietante suggerisce possibili minuscoli scorci in una sfera dell'esistenza mentale non meno importante della vita fisica...”
Sorprendentemente, negli scritti di Lovecraft come nelle Scritture i sogni spesso hanno lo stesso scopo. In alcune dei racconti hanno un ruolo profetico come ne Il Richiamo di Cthulhu. Nel capolavoro un artista di nome Wilcox ha orribili visioni di “grandi città ciclopiche di blocchi di titani e monoliti celesti” che lo spingono a modellare un piccolo idolo di pietra. In Oltre il Muro del Sonno, un montanaro e un medico condividono e sperimentano la rivelazione di un mondo in cui le anime dei loro sogni sono libere dai loro vincoli terrestri e mortali. Ne L’Ombra Fuori dal Tempo, strani incubi e prove archeologiche costringono il narratore a confrontarsi con ricordi inconsci di un terrificante incontro con la Grande Razza.



In alcune delle storie di Lovecraft, i sogni creano un legame psichico con qualche entità potente e malevola che gradualmente acquisisce il controllo della volontà del personaggio che sogna e lo spinge verso uno scopo terribile. Questo tema si trova in I Sogni della Casa Stregata e L’Abitatore del Buio. Sonnambulismo e comportamenti ossessivi aumentano nei personaggi sfortunati e suggeriscono una forma di possesso demoniaco. Ma i sogni possono anche svolgere una funzione positiva e strumentale in alcune delle attività di Lovecraft. In particolare, forniscono l'accesso a una realtà alternativa, una porta. L'esempio più ovvio di ciò è La Ricerca della Sconosciuta Kadath, in cui questo approccio alla coscienza del sogno è altamente sviluppato. Qui per viaggiare attraverso le Dreamland Randolph Carter, l'alter ego di Lovecraft, “pregava a lungo e pedissequamente gli dei nascosti del sogno che covavano capricciosi sopra le nuvole sulla sconosciuta Kadath, nei deserti gelati ove nessun uomo cammina.”
In molti punti delle opere di Lovecraft, i sogni servono come fonti di profezia, rivelazione e integrità psicologica. Possono anche fungere da dispositivo di trama - o un collegamento psichico con il male che spinge il personaggio alla distruzione, o un utile, anche se impegnativo, portale verso un altro mondo. È possibile che i riferimenti ai sogni dell'Antico e del Nuovo Testamento siano stati almeno in parte l'ispirazione per quelli che si verificano nelle storie di Lovecraft? Forse, in quanto da piccolo era imbevuto di simili nozioni, ma nelle sue lettere non appaiono quasi mai resoconti di sogni a tema religioso canonico. La sua attività onirica era slegata da una qualsivoglia attività religiosa.
Vedremo in un prossimo post il seguito di questa sua curiosa attività onirica...

mercoledì 29 maggio 2019



Lovecraft & Venere


H.P. Lovecraft menziona il pianeta che prende il nome dalla dea romana della bellezza molte volte nei suoi racconti.
Nel racconto “Il Caso di Charles Dexter Ward” (The Case of Charles Dexter Ward) scritto nel 1927, il romanzo venne pubblicato solo postumo, in versione abbreviata in due puntate, sulla rivista Weird Tales, nel maggio e luglio del 1941. Nel racconto ambientato quasi tutto a Providence Lovecraft menziona brevemente Mr. Benjamin West, uno studioso e un fine pensatore che è noto per il suo lavoro sul tardo transito di Venere. Cioè di quanto il pianeta è passato tra la terra e il Sole. Quando appare come un piccolo punto nero che lentamente passa sulla superficie del Sole.

Nel racconto “L’ombra venuta dal tempo” (The Shadow Out of Time) scritto tra il novembre 1934 e il febbraio 1935, fu pubblicato per la prima volta nel giugno 1936 sulla rivista fantascientifica Astounding Stories, vediamo come la mente di Nathaniel Wingate Peaslee abita uno degli esseri a forma di cono e apprende che numerose entità aliene popolano la Terra e il sistema solare. Degli studi di Peaslee Lovecraft cita brevemente: “una mente dal pianeta che noi conosciamo come Venere, che avrebbe vissuto incalcolabili epoche ancora….”. 

Venere è anche menzionata ne “Il Diario di Alonzo Typer” (The Diary of Alonzo Typer) che scrisse per il misterioso William Lumley (non Brian Lumley).  Scritto nell'ottobre del 1935, il racconto fu pubblicato per la prima volta a firma di Lumley nel numero di febbraio del 1938 della rivista Weird Tales. Nel racconto Alonzo Typer sta indagando su strani avvenimenti accaduti nella casa di van der Heyls nello stato di New York come riportato da H.P. Lovecraft Encyclopedia; di S.T. Joshi e David E. Schultz, 2001.  Quando Typer legge un manoscritto di Claes van der Heyl,scopre un riferimento legato al Libro di Dzyan che recita, “…i signori di Venere giunsero dallo spazio nelle loro navi per civilizzare il nostro pianeta.” Questa è l’unico riferimento nelle storie del Sognatore di Providence e potrebbe indicare il pensiero del misterioso Mr. Lumley riguardo i concetti presenti nel Libro di Dzyan. Da notare che il “Libro delle Cose Proibite” e “I sette segni perduti del terrore” e la misteriosa città di Yian-Ho erano idee del misterioso Lumley come ricordano Joshi e Schultz in H.P. Lovecraft Encyclopedia.

L'ultima storia del Sognatore di Providence che accenna a Venere, e anzi in effetti si svolge tutto sul pianeta Venere, è “Tra le Mura di Eryx” (In the Walls of Eryx) del 1936 ma pubblicata solo due anni dopo la sua morte, scritta insieme a Kenneth Sterling. Nel racconto viene descritto un ecosistema alieno completo, che comprende fiori carnivori, guerrieri akmani e skorah, oltre ai volanti tukah. Tuttavia, la razza dominante su Venere sono gli uomini lucertola, che sembrano adorare i cristalli di Venere, che l'umanità giunta sin lì estrae come fonte di energia sia sulla Terra che su Venere. Questa è l’unica storia di H. P. Lovecraft che si svolge interamente su un pianeta che non è la Terra.






Robert M. Price, studioso ortodosso di Lovecraft scrisse un articolo riguardo l’origine dei Signori di Venere dal titolo “Lovecraft’s Use of Theosophy”. Nell’articolo prende in esame l’enigmatica citazione di Lovecraft riguardo i Signori di Venere. “Sono quasi alla fine della questione Dzyan-Shamballah. Il suo scopo cosmisco — Signori di Venere, e tutto quello che — suona così speciale ed empatico per me!” (Selected Letters, vol. IV, p. 153. Lovecraft come si vede li cita insieme al Libro di Dzyan e alla città perduta di Shamballah. Nella lettera, indirizzata al suo amico scrittore Smith, afferma che il linguaggio Senzar in cui era scritto il libro di Dzyan “fu portato sulla Terra da… I Signori di Venere.” Nel racconto “Il Diario di Alonzo Typer”, aggiunge che il Libro di Dzyan “era vecchio quando i Signori di Venere giusnero dallo spazio con le loro navi per civilizzare il nostro pianeta.” Ma se già tutto questo è curioso e interessante notare che Price nel suo articolo aggiunge che: “Attraverso i Cancelli della Chiave d’Argento” (Through the Gates of the Silver Key) riscritto da ‘Lord of Illusions’ di E. Hoffmann Price, che lo introdusse alla questione Dzyan-Shamballah, si legge che “I Figli della Nebbia del Fuoco giunsero sulla Terra per insegnare l’Antica Sapienza all’uomo.” E che questi figli della Nebbia del Fuoco corrispondono secondo R. Price ai “Signori di Venere” e nel suo articolo Price lo spiega nel dettaglio.
“La dottrina cosmologica di base della Teosofia è che la storia universale può essere divisa in una serie infinita di manvantara, o di eoni cosmico-evoluzionari, separati da pralaya, o periodi di dormienza lunghi un secolo. All'inizio di ogni manvantara, l'Essere stesso (Brahman), simboleggiato come Fuoco Primordiale, inizia a differenziarsi in esseri individuali. Il primo di questi sono sette divinità solari, chiamate anche "Figli della Nebbia di Fuoco" a causa della loro immediata derivazione da esso.” Scrive Price citando la Dottrina Segreta vol. 1, p. 86 della Blatvaskj. Il termine si riferisce anche a un gruppo di esseri semidivini e semi umani che incarnano queste entità sulla Terra. “Sono le guide della prima umanità ed è attraverso questi "Figli di Dio" che l'umanità primordiale ha ottenuto le sue prime nozioni di tutte le arti e le scienze, oltre che della conoscenza spirituale” dice la Blatvaski “Furono loro a impartire agli uomini i più bizzarri segreti della natura e rivelare loro l'ineffabile e la parola perduta” (Dottrina Segreta vol. 2, p. 220) e secondo Price questa è senza dubbio “l’Antica Sapienza” menzionata da Lovecraft. Price si spinge oltre e nel suo articolo mette in relazione il testo di Scott-Elliot La Storia di Atlantide e la Perduta Lemuria, in cui le prime guide dell’umanità giunsero qui da Venere perchè Venere era più evoluta. Price scrive: “infatti la vita umanoide sulla Terra era (su Lemuria, per essere precisi) era appena senziente. I Signori di Venere della Nebbia di Fuoco insegnarono all’umanità all’inizio prendendo possesso dei loro corpi, e quando loro avevano imparato, entrarono con la loro intelligenza dando così a loro il tempo di svilupparne una per conto loro attraverso un Lamarckianesimo metafisico.”
Price riporta quanto scrive Scott-Elliot a pag 107 spiegando che i Signori di Venere erano in grado di farlo dati i loro poteri eccezionali di trasferire le proprie coscienze da Venere alla Terra. “Le astronavi sono un’aggiunta di Lovecraft, visto che i Signori Di Venere della Teosofia non ne avevano bisogno.” Conclude Price anche se è possibile che Venere sia stata un tempo come l’ha descritta Lovecraft, prima che l'effetto serra impazzisse. Forse durante il tempo degli Yith? Forse qualche terribile esperimento dei nativi è andato storto, così i Signori di Venere sono venuti sulla Terra con le loro astronavi?

In ogni modo leggendo queste righe balza alla mente che l’idea di Scott-Elliot della proiezione mentale attraverso lo spazio dei Signori di Venere possa essere stata usata da Lovecraft per La Grande Razza di Yith. Che appare in “L’ombra venuta dal Tempo” essi proiettavano le loro menti attraverso lo spazio e il tempo per ‘abitare’ le cose a forma di cono dell’Australia preistorica proprio come i Signori di Venere teosofici facevano con i ripugnanti lemuriani all’inizio. Price infatti cita una lettera in cui  Lovecraft scrive, “alcuni di questi suggerimenti su . . . i mostri senza forma dell’arcaica Lemuria sono davevro pregni di suggestioni fantastiche. . . .” e come Price fa notare Lovecraft spiega da dove li ha presi “Quanto ho letto è La Storia di Atlantide e della Perduta Lemuria. . .” Price aggiunge che Lovecraft deve per forza aver letto la pagina 87 del libro di Scott-Elliot dove cita: “Un po' prima della metà del periodo Lemuriano. . . il gigantesco corpo gelatinoso cominciò lentamente a solidificarsi. . .” Così l'idea di “L’Ombra venuta dal tempo” di intelletti avanzati dallo spazio esterno che si teletrasportano sulla terra per abitare corpi primitivi, giganteschi e gommosi sembra derivare dalla lettura di Scott-Elliot. Fornisce anche un suggerimento abbastanza chiaro in questa direzione in quella stessa storia. Mentre il narratore studia antichi testi per ricostruire la storia della Grande Razza, nota che “alcuni dei miti avevano legami significativi con altre leggende incerte del mondo preumano, specialmente con quelle storie indù che coinvolgono stupefacenti abissi di tempo e che formano parte della tradizione dei teosofi moderni.”

Davvero interessante l’articolo di Price anche se un po’ ostico, che ci si creda o no poco importa è solo un’altra splendida pagina di studio sull’opera di uno scrittore che non è solo uno scrittore. Bisogna stare attenti alle traduzioni in quanto la citazione di “Attraverso i Cancelli della Chiave d’Argento” a volte non appare “I Figli della Nebbia di Fuoco” ma “gli Alati”, in altre versioni sì. E così il collegamento con Venere si perde.
Ma quanto sarebbe stato se bello avesse vissuto di più e avesse cominciato a scrivere molte più storie di fantascienza interplanetaria? Forse sarebbe evoluto in quella direzione in quanto “Tra le Mura di Eryx” è davvero un diamante prezioso carico di nozioni e di sottigliezze come di giri di parole in quanto parla di Farnoth-flies, terribili mosche di Venere che in realtà era l’editore mediocre Farnsworth Wright di Weird Tales o degli Ugrats- Hugo the Rat (che in realtà è Hugo Gernsback pessimo editore di Wonder Stories) e così via.
Insomma se H.P. Lovecraft fosse vissuto di più sono certo avrebbe creato strani cilici pre-umani ben oltre il nostro sistema solare.


martedì 28 maggio 2019


IL NECRONOMICON & JOHN DEE





C’è un testo dal titolo H.P. Lovecraft: A Horror in Higher Dimensions, di Thomas Hull del Merrimack College, North Andover, MA, in cui è riportato che John Dee tradusse l’opera di Euclide intitolata Gli Elementi in inglese.
John Dee (1527 – 1609) noto matematico, astronomo, astrologo e consigliere della Regina Elisabetta I, implicato più volte nella misteriosa vicenda del Codice Voynich. Dee era uno di quegli individui che nacque e visse durante il Rinascimento applicandosi ai campi di scienze, matematica, magia e alchimia. Tuttavia, i fan di Lovecraft lo conoscono maggiormente come colui il quale ha tradotto la versione latina del Necronomicon di Olaus Wormius in inglese. Questa idea fu veicolata dal racconto di “Sonny”, al secolo Frank Belknap Long, caro amico di Lovecraft, intitolato I Divoratori dello Spazio (The Space Eaters 1928).
Perfino in I am Providence: The Life and Times of H.P. Lovecraft di S. T. Joshi, la biografia più completa al momento esistente sul Sognatore di Providence, si afferma che Lovecraft citò la traduzione di Dee del Necronomicon nelle sue ultime storie e lettere saggi et similia.  “Sonny” scrisse un frammento della traduzione di Dee del Necronomicon che fu pubblicato nel libro The Necronomicon di Robert M. Price (Chaosium, 1996).
È curioso notare che John Dee tradusse sia Gli Elementi di Euclide che il Necronomicon di Abdul Alhazred.  Deve aver tradotto il trattato di Euclide per primo perché deve essere impazzito dopo aver tradotto il Necronomicon… o forse non è un caso che Lovecraft parlasse di Geometrie non Euclidee?

John Dee era un Anglicano e non solo non vedeva alcun conflitto tra le pratiche magiche e la religione ma anzi considerava le pratiche magiche come la più alta espressione della religione! Dee voleva parlare con gli angeli volevo parlare agli angeli. Questo non significa che considerasse tutta la magia come sacra. Minacciò di licenziare il suo medium, Edward Kelly, quando lo ha trovato immischiato con la Chiave Minore di Salomone, un grimorio che è piuttosto innocuo in confronto a quello di Alhazred. Dee ha vissuto in un tempo davvero unico in cui scienza e magia erano entrambe accettate come mezzi validi per indagare e comprendere il mondo, l'universo e la realtà che li circondava. Dee potrebbe aver tradotto solo una piccola parte del Necronomicon e più si era avvalso di numerosi traduttori che hanno contribuito alla traduzione in inglese. In ogni modo Lovecraft fece dei riferimenti alla traduzione di John Dee del Necronomicon, ma non citò mai uno stralcio di quella traduzione. Nel racconto L’Orrore di Dunwich Lovecraft scrive che “Wilbur aveva con se la copia imperfetta, ma senza prezzo, della versione inglese del Dottor Dee che suo nonno gli aveva lasciato in eredità, e dopo aver avuto accesso alla copia latina, iniziò immediatamente a mettere insieme i due testi con lo scopo di scoprire un certo passaggio e che sarebbe arrivato sulla 751° pagina del suo volume difettoso. ” ancora Lovecraft scrive in La Storia del Necronomicon la frase chiarissima: “una traduzione inglese fatta dal dottor Dee non fu mai stampata, ed esiste solo in frammenti recuperati dal manoscritto originale.” E curiosamente il racconto di “Sonny”, I Divoratori dello Spazio del 1928 quindi successivo al 1927.

Allora torniamo a bomba e annotiamo che nel 1586 il Necronomicon fu finalmente tradotto in inglese dal Dr. John Dee. La sua traduzione fu basata in parte sul manoscritto greco, in parte sulla seconda edizione di Wormius in latino e in parte sui risultati dei sogni e delle conversazioni indotte dalla droga di Dee con gli angeli. Di conseguenza, questa edizione è considerata incompleta, ma decisamente interessante. Proprio prima di morire, il 7 gennaio 1988, il famoso scrittore ed editore Lin Carter (epigono di Lovecraft) era impegnato nella traduzione di altri documenti della collezione di John Dee, la maggior parte sembra costituissero il primo libro del Necronomicon.

Qualche anno dopo la traduzione parziale di Dee, precisamente nel 1598 appare un'altra parziale traduzione inglese del testo latino del Necronomicon da parte del barone Frederick del Sussex. Questa traduzione ha preso il nome di Cultus Maleficarum ma oggi è conosciuto soprattutto come Il Manoscritto del Sussex. Nel 1623 la traduzione di Olaus Wormius fu pubblicata in una nuova edizione, questa volta in Spagna e, nel 1916, Aleister Crowley pubblicò un'edizione limitata del Necronomicon in inglese, basata sulla traduzione di Dee. Edizione introvabile…

venerdì 24 maggio 2019



COSA VEDE DANFORTH ALLA FINE DELLE

 MONTAGNE DELLA FOLLIA?

Uno dei racconti/romanzi più apprezzati di H. P. Lovecraft è “Alle Montagne della Follia” che può essere considerato il precursore di un genere di racconti su storie di spedizioni alle regioni polari. Un romanzo magistrale che fu scritto nel 1931 ma fu pubblicato, soltanto dopo innumerevoli rifiuti, nel 1936 e in forma rimaneggiata. Lovecraft scrisse a E. Hoffmann Price nel 1936 di essere molto deluso e di star pensando di concludere la carriera di scrittore, cosa che purtroppo la vita lo costringerà a fare un anno dopo.





La storia è semplice ed avvincente: alcuni esploratori in missione in Antartide scoprono, ai piedi di una catena montuosa gigantesca (la cui aria induce allucinazioni-da cui il titolo del romanzo), una caverna che contiene mostruose creature anfibie, congelate da milioni di anni, molti delle quali in perfetto stato di conservazione. Lovecraft nel suo racconto chiama questi esseri “Antichi” (Primevi sarebbe meglio per evitare confusioni) che sono cosa molto diversa dai “Grandi Antichi”, visto che sembrano essere vissuti sulla Terra milioni di anni orsono. Quando gli esploratori in missione non si fanno più sentire il narratore ed altri esploratori accorrono per controllare cosa è accaduto e trovano solo cadaveri e nessuna traccia delle strane creature. A questo punto il narratore e il giovane Danforth, prendono un piccolo aereo e sorvolando la zona scoprono, oltre la terribile catena montuosa, un immenso altopiano e i resti di una città ciclopica e aliena, i resti di una delle città degli "Antichi". Atterrano e vi si inoltrano scoprendo statue e bassorilievi che mostrano la storia antichissima di questi esseri con i vari intrecci tra gli "Antichi" che vivono in acqua, con gli "Antichi" che vivono sulla terra ferma, con la progenie di Cthulhu, con i Mi-Go ma anche con gli Shoggoth. Così Danforth e il narratore scoprono il tunnel che conduce all'ultima dimora degli antichi che, per sopravvivere alla glaciazione del continente, si sono rifugiati nelle calde acquose profondità dell'altopiano. Esplorandolo trovano rinvengono i resti congelati di un loro compagno sparito dal campo base e di un loro cane e capiscono che questi “antichi” non erano morti quando furono scoperti dalla missione, ma probabilmente erano ibernati. Il narratore e Danforth proseguono l’esplorazione della galleria e dopo poco incontrano alcuni pinguini giganteschi che, vivendo sottoterra sono albini e ciechi.


 Scendendo ancora trovano i corpi di alcuni "Antichi" recentemente massacrati e senza testa che è stata loro strappata e non tagliata. Infine un ulteriore grido fa scoprire al narratore e Danforth uno Shoggoth. Un’enorme creatura mutaforma e amorfa di plasma nero. Creature, ipotizzano inizialmente create dagli “Antichi”, che li tenevano sotto controllo con l’ipnosi, e che si sono ribellate. Il narratore e Danforth fuggono, voltandosi solo una volta per vedere l'orribile Shoggoth che li tormenterà per sempre. Il romanzo è alle battute finali e durante il volo di ritorno Danforth lancia un grido e impazzisce in quanto vede dall’altro qualcosa di ancora più mostruoso, antico ed ancestrale, sulla seconda catena di montagne ad ovest, qualcosa di cui non parlerà mai. Oltre l'altopiano infatti c’è un'altra catena montuosa, altissima, di cui si scorgono solo vaghi profili violacei.
Gli Antichi temevano ciò che si celava al di là di esse. L'autore riconduce la regione alle terre malvagie e leggendarie di Kadath e Leng, di cui si parla solo in pochi testi antichi (tra cui il Necronomicon).


Il finale, comune a molti romanzi e racconti di Lovecraft, vede i protagonisti salvarsi dall'orrore ma rimanere per sempre tormentati ed angosciati da ciò che hanno visto e dalle scoperte sulla natura dell'universo che non avrebbero mai voluto fare. Il narratore afferma di aver scritto questo resoconto per scoraggiare qualsiasi futuro tentativo di esplorare l'altopiano oltre le montagne della follia, per non risvegliare gli orrori ancestrali che vi dimorano.

La domanda è: cosa ha visto Danforth dall’aereo?
Le parole di Lovecraft quando descrive che Danforth si gira indietro a guardare sono: “verso l'alto nel cielo ribollente, grottescamente annebbiato. Fu allora, proprio mentre stavo cercando di volare in sicurezza attraverso il passo, sentì questo urlo folle...”
Più tardi il narratore spiega cosa ha fatto urlare Danforth.
“Non era, dichiara, nulla collegato ai cubi e alle caverne...; ma un unico, fantastico, barlume demoniaco, sfornato dalle nuvole zenitali, di quello che si stendeva oltre quelle altre montagne viola verso ovest che gli Antichi avevano evitato e temuto.”
Forse quindi Danforth vide barlumi della lontana Kadath? Ma Kadath non era nelle terre dei sogni? Come fa a essere in Antartide? Kadath è il posto sorvegliato dagli ‘Altri Dei’ (“sono grandi, irragionevoli e terribili, e si annidano nei vuoti esterni”) e qui tengono prigioneri gli antichi dei della terra che si sono esiliati nell'immensa montagna (o forse sono stati intrappolati lì dagli ‘Altri Dei’?). Questo aspetto dei Miti di Cthulhu che Lovecraft aveva lasciato vago nel tempo si è evoluto, proprio come è accaduto al Ciclo di Re Artù. 

Ora come detto Lovecraft fa capire che Kadath non è completamente sulla Terra ma che è un’immensa montagna nel deserto ghiacciato-freddo. Come detto è parte di uno spazio extra-dimensionale, chiamato Dreamland nel Ciclo di Randolph Carter, che raramente si interseca e ha punti di contatto con il nostro mondo come la Rue d’Auseil nel racconto “La Musica di Erich Zann”. Sembra anche essere il luogo dove gli ‘Altri Dei’ sono costretti a fermarsi e da cui non possono avvicinarsi di più al nostro mondo ad esclusione del loro messaggero Nyarlathotep. Nel romanzo “Alle Montagne della Follia” a un certo punto il narratore vede che gli Antichi hanno fatto dei murali in cui è raffigurata una gigantesca catena montuosa e fa pensare al lettore che possa essere il luogo in cui giace Kadath. E se è Danforth ha visto Kadath dall’aereo forse ha visto anche qualche manifestazione dell’emissario degli ‘Altri Dei’ che controllano Kadath, il caos strisciante Nyarlathotep?
Ecco alcuni estratti:
“Certo, eravamo in uno dei più strani, più bizzarri e più terribili di tutti gli angoli del globo terrestre. Di tutte le terre esistenti, era infinitamente la più antica. Non c’era dubbio che questa orribile regione montuosa doveva essere il favoloso altopiano da incubo di Leng di cui persino l'autore folle del Necronomicon era riluttante a discutere. La grande catena montuosa era infinitamente lunga [...]
E anche le mostruose esagerazioni della natura sembravano inquietantemente a portata di mano. Ho detto che queste vette sono più alte dell'Himalaya, ma le sculture mi impediscono di dire che sono le più alte della terra. Quel cupo onore è senza dubbio riservato a qualcosa che metà delle sculture esitava a descrivere, mentre altre ne accennavano con evidente ripugnanza e trepidazione. Sembra che ci fosse una parte di una terra antica - la prima parte che è mai emersa dalle acque dopo che la terra si era staccata dalla luna e che gli Antichi erano scesi dalle stelle – che era evitata come vagamente e irrimediabilmente malvagia. [...]
Se la scala dei bassorilievi era corretta, quelle orrende formazioni dovevano essere più alte di 15.000 metri ed erano decisamente più vaste e ampie anche rispetto alle montagne della follia che avevamo attraversato. Si estendevano, a quanto sembrava, da 77 gradi di latitudine e 70 gradi longitudine est a 70 gradi di latitudine e 100 gradi longitudine est—a meno di cinquecento chilometri dalla città morta e, se non fosse stato per l'eterna bruma opalescente, ne avremmo viste le terrificanti cime a occidente. L'estremità settentrionale doveva essere ugualmente visibile dalla lunga linea costiera del Circolo Antartico, nella Terra della Regina Maria.
Una parte degli Antichi, nei giorni del crollo, aveva intonato strane preghiere alle montagne—ma nessuno vi si era avvicinato o aveva osato immaginare che cosa si giacesse al di là di esse. Nessun essere umano le ha mai viste, e considerate le emozioni suscitate dagli antichi bassorilievi ho pregato affinché ciò non succeda mai. Lungo la costa, e al di là delle montagne, ci sono colline a protezione che in qualche modo le proteggono: quelle della Terra della Regina Maria e del Kaiser Guglielmo. Ringrazio il cielo che nessuno è stato in grado di atterrare e scalare quelle colline. Non sono così scettico nei confronti di vecchi racconti e vecchie paure come lo ero una volta, e non rido ora del concetto espresso dai venerabili bassorilievi per cui i fulmini, ogni tanto, si attardavano di proposito sulle creste meditabonde, e un bagliore inesplicabile splendeva da uno dei pinnacoli per tutta la durata della notte polare. Potrebbe esserci un significato molto reale e molto mostruoso nei vecchi sussurri Pnakotici su Kadath e sul Deserto Gelato.”

Cosa ha visto Danforth?
Nyarlathotep? O forse il proprio volto inorridito, imitato-clonato da migliaia di Shoggoth mutaforma che lo sbirciavano da ogni apertura cavernosa delle Montagne della Follia. Cosa potrebbe essere di più terrificante per far impazzire un uomo?
Eppure Lovecraft nel suo racconto “Il Tumulo” scritto tra il dicembre 1929 e il gennaio 1930 (quindi oltre un anno prima di questo romanzo) a un certo punto scrive qualcosa di collegato a “Alle Montagne della Follia” parlando di una razza sotterranea: “Durante le ere glaciali loro eressero alcune rimarchevoli civilizzazioni di superficie, soprattutto quella al Polo Sud vicino alla montagna Kadath.”
Inoltre che cosa altro avrebbe spaventato tanto gli Antichi (che non si avvicinavano alle montagne viola) se non la vista della casa dei Grandi Antichi? La stessa cosa che fece impazzire Danforth dopo un solo sguardo se non Kadath?

martedì 21 maggio 2019

Casata Lovecraft




LO STEMMA DEI LOVECRAFT

Si sa, H. P. Lovecraft era di lontane origini aristocratiche, amava il New England in quanto i suoi avi provenivano dal Vecchio Continente, dall’Inghilterra, luogo in cui il sangue degli Antichi Romani, per lui così importanti, si era mischiato a quello dei sassoni ed era fluito, con il passare delle generazioni, fino a lui. O almeno così lui sperava. Lovecraft aveva una visione della vita abbastanza conservatrice e non sarebbe potuto essere altrimenti vista la famiglia da cui discendeva.
Quella effigiata qui è lo stemma della famiglia Lovecraft e, se è impossibile stabilire la data in cui gli avi del Sognatore di Providence, l’avessero usata per la prima volta lo stemma può dirci qualcosa di interessante.
Nel 1905 H.P. Lovecraft cercò di  scrivere la sua linea di discendenza paterna. Le sue ricerche furno basate su quanto la sua prozia Sarah Allgood aveva lasciato scritto. Leggendo la lettera inviata dal Sognatore di Providence a Frank Belknap Long (SL2.182) si scopre che il presunto trisavolo era, Thomas Lovecraft (1745-1826), che Lovecraft sosteneva fosse stato costretto a vendere il suo terreno a Minster Hall vicino a Newton-Abbot nel Devonshire nel 1823 per pagare un debito, con conseguente dispersione della sua famiglia. I bisnonni del Sognatore di Providence Joseph S.Lovecraft (1775-1850) e Mary Fulford Lovecraft (1782-1864), emigrarono dal Devonshire allo stato di New York, insieme a sei figli (John, William, Joseph, Aaron, George e Mary) , arrivando a Rochester, New York, nel 1831. Ad oggi non si trovano i documenti corrispondenti di immigrazione degli antenati di Lovecraft e ciò potrebbe far pensare che entrarono negli Stati Uniti dall’ Ontario, Canada, in cui arrivarono nel 1827.  Sebbene HPL avesse affermato che il suo bisnonno era deceduto in una fattoria nello stato di New York poco dopo esservi emigrato, Joseph S.Lovecraft, il patriarca della linea americana dei Lovecraft, in realtà sopravvisse e morì a Rochester nel 1850 in età avanzata. Nel censimento del 1850 di Rochester, tutti i figli di Joseph e Mary, ad eccezione di Aaron, sono registrati come commercianti; Il nonno di Lovecraft, George Lovecraft (1818-1895 circa), ad esempio, è elencato come un commerciante di finimenti per cavalli. Tuttavia, i fratelli erano elencati come proprietari e tutti sembravano essere piuttosto prosperi. George Lovecraft e sua moglie Helen Allgood (1821– 1881) lasciarono Rochester per andare a Mt. Vernon, N.Y., negli anni sessanta del 1800; ebbero vari figli di cui tre raggiunsero l’età adulta: Emma Jane Lovecraft Hill (1847–1925), Winfield Scott Lovecraft (1853–1898), e Mary Louise Lovecraft Mellon (1855–1916). Il Sognatore di Providence sembra non aver avuto molti contatti con le zie Emma e Mary. Ed era quasi certamente l’ultimo maschio del ramo Lovecraft nel continente Nord Americano, anche se ci sono discendenti femmine ancora viventi di Joseph S. Lovecraft e Mary Fulford Lovecraft[1].


Lo stemma di famiglia



Il disegno interno infatti suggerisce che si tratta di una casata molto antica. Scrive in Lovecraft's Providence and Adjacent Parts  Henry L. P. Beckwith, Jr.: «Se si osserva l’uso della tintura verde, e alla composizione dello stemma – una linea a forma di V tra tre elementi. H.P.L. credeva che le teste fossero di volpi, ma era in errore. Questo è uno stemma inclinato - lupus-lupo - e le prime parole del nome sono Louckraft, Luccrafte e simili, che indicano un suono “lu” piuttosto che un “lo”.
Le braccia sembrano blasonate “Verde, un linea a V e tre teste di lupi d'oro" e il crest, “Una torre d'oro”.»
Curioso no?
Sembra anche che un altro ramo della famiglia Lovecraft, probabilmente estinto, sia quello che abbia sostituito le torri con le teste di lupo, ed è probabile che le torri di questo stemma, e nel crest di H.P. Lovecraft, derivino dal ramo di una famiglia con cui i Lovecraft si erano incrociati. Sull’argomento sono interessanti le lettere di HPL contenute in SL2.182, e SL.3.360. La prima scritta al suo caro amico Frank Belknap Long

Lo stemma fu registrato a nome di Joseph Lovecraft di Minster Hall nr. Newton Abbot, Devon, nello Stato di New York superiore nel 1827, dal Comitato per l'araldica del New England Historic Genealogical Society, di Boston, Massachusetts, con il numero 645 sul suo registro degli stemmi in una riunione del comitato tenutasi il 29 aprile 1975.



















[1]   Per approfondire R.Alain Everts, “The Lovecraft Family in America,” Xenophile 2, No. 6 (October 1975): 7, 16; Kenneth W.Faig, Jr., “Lovecraft’s Ancestors,” Crypt No. 57 (St. John’s Eve 1988): 19–25; Richard D.Squires, Stern Fathers ’Neath the Mould: The Lovecraft Family in Rochester (Necronomicon Press, 1995).

lunedì 13 maggio 2019

Cartolina del  del 21 agosto 1927






Questi oggetti si sono trovati su un’asta online qualche tempo fa. 
Il venditore afferma che si tratta di una cartolina originale firmata H.P. Lovecraft ritrovata in una scatola di cartoline del Vermont.
La cartolina in questione, di cui sopra vediamo il fronte, ha il timbro postale del 21 agosto 1927 ed è firmata da W.P. Cook, Arthur H. Goodenough e H.P. Lovecraft. Si tratta di una cartolina curiosa, un vero gioiello, che i tre amici sono apparsi in una foto del 21 agosto 1927 ( The Arkham Sampler, Volume II, numero 4, Special Photograph Issue-II: Howard Phillips Lovecraft e i suoi amici e parenti, The Strange Company) risulta per lo meno probabile che i tre abbiano fatto la foto poco prima o poco dopo di aver scritto questa cartolina.




Lovecraft visitò Arthur Goodenough e Vrest Orton nel Vermont nel 1927 insieme a Goodenough e Cook, che probabilmente era quello che guidava l'auto. 




Il testo completo della cartolina recita:


'Incontro amatoriale memorabile! Questa è la prima visione del Laureato del Vermont da parte di un dilettante (Lovecraft ndr) in persona da quando Cook ha aperto la strada. Anche la mia prima visita dello squisito paese  del Vermont! Mi sto fermando con Cook ad Athol. Saluti-HPLovecraft. Arthur H Goodenough. W.P. Cook.'

venerdì 10 maggio 2019


L’ISOLA DI TSATHOGGUA


Il libro “Il mondo del ghiaccio e del fuoco” arricchisce la storia e la geografia di Terros, il mondo di “A Song of Ice and Fire”. In tal modo, i riferimenti multipli a Lovecraft o ai miti di Cthulhu si ampliano a dismisura e, da dettagli che riempivano lo sfondo forniscono indizi sulla natura delle divinità di Terros e sul futuro della storia.
Usando i Miti di Cthulhu, da cui G.R.R. Martin ha attinto a piene mani, come punto partenza vediamo di prendere in considerazione la misteriosa Isola dei Rospi e la sua curiosa statua batracica.
Ora l'Isola dei Rospi, una delle “Basilisk Isles”, ha tre curiosità che meritano un approfondimento. In primo luogo, vi sono le rovine di un'antica civiltà sull'isola. Poi i moderni abitanti umani hanno un “aspetto sgradevole, simile ai pesci, e molti di loro hanno mani e piedi palmati” (inutile dire che vi è già venuta in mente Innsmouth); e terzo punto c'è una gigantesca statua di pietra di un Dio dei Rospi, la Pietra del Rospo, fatta di pietra nera untuosa (che è probabilmente la stessa pietra usata per costruire Asshai).
Le domande, molto lovecraftiane visto che i riferimenti sono palesi sono varie. Qui ci limitiamo a farne un paio.



Prima domanda: quale era l'antica e misteriosa civiltà che ha lasciato le rovine sull'isola?
Sembrerebbe quella degli abitatori del profondo, non trovate?
E chi sono le persone sull'Isola dei Rospi?
Sono Abitatori del Profondo, ibridi semi-umani nati da donne umane che sembrano umane e vivono sulla terra, ma si trasformano in Abitatori del Profondo con l'età, acquisendo ‘un aspetto sgradevole, simile a quello dei pesci’. La loro pelle si trasforma in squame e il loro collo sviluppa pieghe che progressivamente diventano branchie. Alla fine, si trasformano completamente e si uniscono agli altri Abitatori del Profondo nelle città sottomarine.
Dick Crabb ne “Il Banchetto dei Corvi” afferma sugli squishers della costa orientale di Westeros: “Sembrano uomini finché non ti avvicini, ma la loro testa è troppo grande, e hanno scaglie dove un vero uomo ha i capelli, il ventre bianco, con le dita palmate. Sono sempre umidi e maleodoranti ma dietro a queste labbra grondanti si sono formate file di denti verdi affilati come aghi Alcuni dicono che i primi uomini li hanno uccisi tutti, ma non ci credo.”
È chiaro che siano gli Abitatori del Profondo di Loveraftiana memoria.
Che dire delle Tre isole Sorelle e del loro simbolo se non che anche qui Martin ha ripreso il Sognatore di Providence?
Godric per esempio è un uomo grande, carnoso, brutto con spalle massicce. Capelli bianchi e ruvidi crescono dalle sue guance e dal suo mento. È calvo sulla parte superiore del suo cuoio capelluto, con un naso grumoso venato di rosso e lamine di pelle tra le sue tre dita medie.
Ma nelle isole di ferro ci sono moltissimi altri esempi di letteratura Lovecraftiana. Dagon, il dio dei pesci di Lovecraft, è un nome ancestrale sulle isole (anche se Martin potrebbe averlo ripreso dalla Bibbia). Ma nei Miti di Cthulhu, gli Abissali, o Abitatori del Profondo adorano Dagon e il Grande Cthulhu. Inoltre, i sacerdoti della religione del dio Abbissale di Martin dichiarano di discendere dai Merlings, e non dai nebulosi ‘Primi Uomini’ come decretato dai tomi della Cittadella. 


E inoltre c'è un altro personaggio che è un ibrido degli Abitatori del Profondo: Biter. Ecco non solo costoro stuprano le donne umane a produrre ibridi semi-umani, ma mangiano anche esseri umani. E questa è la specialità disgustosa di Biter. Penso che sia un abissale non completamente trasformato, una specie di ibrido. E la descrizione di Biter si adatta perfettamente agli Abitatori del Profondo: Biter è enorme e calvo, con una carne morbida e pastosa. La sua lingua era stata tagliata e lui non parlava, se non per fischiare. I suoi denti erano aghi. Curiosamente la sua descrizione corrisponde a quella di un uomo di Ib (che è di per sé un riferimento a Lovecraft visto che il nome della città è suo).

Terza e ultima domanda: chi è il Dio dei rospi?
Ora che abbiamo stabilito che ci sono degli Abitatori del Profondo tutt'intorno, e che gli abitanti dell'Isola dei Rospi sono abitatori del profondo o ibridi che stanno per diventarlo, arriviamo all’ultima domanda: chi è il Dio Rospo? O meglio il Dio Rospo è Tsathoggua?


Nei Miti di Cthulhu, c'è un antico essere conosciuto come Tsathoggua (inventato da Clark Ashton Smith per ampliare l’universo creato da H. P. Lovecraft) che sulla terra assume la forma di un essere simile a un rospo ed è spesso adorato attraverso idoli pietra batracici:
“Questo era un tozzo, semplice tempio di blocchi di basalto senza intagli, e contenente solo un piedistallo di onice vuoto ... È stato costruito in imitazione di alcuni templi raffigurati nelle volte di Zin, per ospitare un terribile idolo di rospo nero trovato nel mondo rosso e chiamato Tsathoggua nei manoscritti yothici, era stato un dio potente e ampiamente venerato e, dopo la sua adozione da parte del popolo di K'n-yan, aveva prestato il suo nome alla città che in seguito sarebbe diventata dominante in quella regione. La leggenda Yothica afferma che provenisse da un misterioso regno interiore sotto il mondo rosso, un regno nero di esseri dotati di particolari sensi che vivevano senza luce, ma che aveva avuto grandi civiltà e potenti dei prima ancora che i quadrupedi rettiliani di Yoth nascessero.” -HP Lovecraft e Zealia Bishop “Il Tumulo”.




Creazione di Tsathoggua
Se Tsathoggua è stato creato da Clark Aston Smith, fu merito anche di tutti gli altri scrittori del Circolo Lovecraft se il nome di questa divinità si diffuse così ampiamente. Molti infatti hanno usato il Dio dei rospi come ‘personaggio’ importante in molte delle loro storie, tra cui lo stesso Lovecraft. Ma Smith dipinse Tsathoggua come una specie di incrocio tra un rospo e un pipistrello, mentre Lovecraft preferiva concentrarsi solo sugli aspetti batracichi del dio rospo. Ecco che Martin attinge ancora con sapienza all’opera sapiente dei Miti di Cthulhu.
Perché l'idolo di Tsathoggua è sull'Isola dei Rospi?
Risposta breve: non lo so.
Risposta più lunga: penso che abbia a che fare con la storia degli uomini serpente. Sappiamo dal Mondo del Ghiaccio e del Fuoco che c'erano persone che adoravano un dio serpente (probabilmente Yig) e che combatterono una guerra con gli accoliti di una dea ragno (chissà perché mi viene in mente Atlach-Nacha!) quando Essos era ai primordi.

Fatto sta che ancora una volta G.R.R. Martin non solo strizza l’occhio all’opera di H.P. Lovecraft ma la traspone usandola, questa volta in maniera fin troppo evidente, nel suo ciclo.