lunedì 18 gennaio 2021

 Solitario, mio Solitario









In una lettera a Robert Bloch, l'autore di Psycho, il 22 luglio del 1933 H. P. Lovecraft a un certo punto scrive una frase sibillina: 

Frank Belknap Long & i suoi genitori sono passati per Providence sulla via di Cape Cod—anche un’amica  di Klarkash-Ton...
 
Si tratta della bellissima e giovane Helen V. Sully di cui poco si sa. Da notare che Lovecraft in questa frase fa sottintendere, che lei lo sia andato a trovare. Personalmente, conoscendo la ritrosia di Lovecraft nel divulgare notizie del genere, trovo che la frase possa nascondere molto più di quel che sembri. Helen nata nel 1904, oltre ad essere bellissima aveva anche 14 anni meno di Lovecraft che, sono poche le notizie in merito pagò per lei tutte le spese del suo soggiorno a Providence. Ma allo stato dei fatti non sappiamo se Helen abbia dormito per tutti i giorni (non sappiamo neppure quanto tempo sia stata da Lovecraft) alla Pensione che dava sul retrogiardino del numero 66 di College St. O se entrambi abbiano dormito fuori, certo è che Lovecraft le fece vedere molti luoghi nei dintorni di Providence. Nel testo A Dreamer and a Visionary, scopriamo che  che Helen cominciò a scrivere a Lovecraft solo dopo averlo incontrato di persona, cosa del tutto inusuale per le amicizie del ‘solitario’ (sic!) di Providence. 
Quindi nell'estate del 1933 il nostro ‘solitario’ se ne andò in giro per il Rhode Island con la bella e giovane Helen e gli fece vedere Providence e poi le città di Newport, Newburyport, e chissà dove altro la portò-le notizie sono scarse in merito. 
Leggendo Helen  V.  Sully,  “Memories   of   Lovecraft:  II”   (1969),  che si trova in Lovecraft Remembered, p. 278 scopriamo che una sera Lovecraft portò la giovane e bella Helen nel camposanto segreto della St John's Episcopal Church. 
Scrive Helen:
“Era buio e lui cominciò a raccontarmi strane e inquietanti storie in tono sepolcrale e, nonostante il fatto che io sia una convinta materialista, qualcosa nel suo modo di raccontare, nel buio, e una specie di luce insolita che sembrava galleggiare sopra le lapidi, mi spinse a fuggire fuori dal cimitero con lui che mi correva subito dietro, con l'unico pensiero che dovevo arrivare in strada prima che lui, o qualunque cosa fosse, mi afferrasse. Raggiunsi un lampione tremante, ansimante e quasi in lacrime, e lui aveva un'espressione strana sul viso, quasi di trionfo. Non mi ha detto nulla.” 

Insomma: proprio un solitario musone.


PS: in quel periodo la zia con cui Lovecraft viveva al n. 66 di College St. era appena tornata a casa dall'ospedale e un'infermiera la curava ventiquattro ore al giorno, vivendo in camera con lei.

I topi nei muri ballano?