martedì 28 aprile 2020

SAGGIO
IL COLORE VENUTO DALLO SPAZIO ANNOTATO





Nelle pagine di questo saggio, il primo volume di una collana dal titolo I Miti di Arkham, il lettore troverà l’origine di uno dei racconti più noti e innovativi di Howard Phillips Lovecraft, la traduzione di alcune sue lettere sinora inedite in Italia, e tutta una serie di approfondimenti riguardanti il testo e la sua interpretazione. Il Sognatore di Providence, che solitario non era davvero—come superficialmente o strumentalmente scrisse Houellebecq, era un amante dei pun, dei giochi di parole, e dei diversi livelli di lettura. Tutte o quasi le sue opere hanno delle chicche e dei messaggi per lo più giocosi e legati al suo vissuto quotidiano e anche “Il Colore Venuto dallo Spazio” non vi sfugge. Giochi di parole che sono ben più evidenti in inglese ma che anche in italiano sono comunque per la maggior parte comprensibili.
Siamo di fronte a uno studio completo sulla nascita e le ispirazioni che si trovano alla base di uno dei racconti più coinvolgenti e straordinari di Lovecraft. Uno dei racconti più spesso trasposti al cinema. Uno studio completo ed esaustivo che permetterà all'appassionato di scoprire gli indizi disseminati da Lovecraft nel racconto, i segreti e le leggende che su esso si imperniano.
Studio completo corredato da una nuova traduzione de “Il Colore Venuto dallo Spazio”, dalle lettere dello stesso Lovecraft finora mai tradotte in italiano e mai pubblicate che gettano una nuova luce sul Sognatore di Providence.

L’indice:

Introduzione dallo spazio
Il Colore di una vita
HPL e la Fantascienza
Lettere del Colore
Il Racconto
Che cosa è il Colore venuto dallo spazio?
Il Colore e la salute umana
Il Colore e la radioattività
Scienziati nel Colore
Che genere di Colore?
La chimica del Colore?
Colori e veleni
S’gnac
Il mistero dell’ispirazione
La Brughiera Desolata e il pensiero di Waugh, Price e Murray.
Influenze del Colore
Lessico
Regionalismo del Massachussets
Le due eremite di Wilbraham: Miniter & Beebe
La misteriosa doppia frase nel Colore
Aspetti religiosi
Conclusioni
Appendici (lettera a zia Lilian, Pietra dell’Invisibilità, Whipporwills, Mercy Brown)
Bibliografia


Si chiede sin d’ora venia al lettore di eventuali errori nell’editing.

martedì 21 aprile 2020

IL COLORE VENUTO DALLO SPAZIO
 DI RICHARD STANLEY





Ho recentemente visto “The Colour Out of Space” di Richard Stanley.
È un buon film, forse il migliore fatto per il racconto “Il Colore Venuto dallo Spazio”, non troppo fedele alla storia originale ma comunque abbastanza convincente. “Dagon” è di gran lunga il miglior film con ambientazione Lovecraftiana rispettata, questo va detto subito.
Il mio sarà un commento senza spoiler con solo alcune osservazioni marginali.
Cominciamo.
Mi chiedo per esempio, visto che non si è voluto rispettare la trama originale del racconto—forse ambientarlo negli anni venti dello scorso secolo costava troppo—come mai sono stati cambiati i nomi dei protagonisti.
Insomma perché perdere delle chicche, dei giochi di parole splendidi che Lovecraft aveva fatto nel suo racconto? Non c’era alcuna necessità del Grande Schermo visto che Nahum diventa Nathan—perdendosi così i riferimenti all’anagramma lovecraftiano Nahum-Human che evidenziava come il protagonista fosse l’umanità o, se vogliamo inserire anche il cognome Gardner—Giardiniere, come si parli di un parallelismo con l’Umano Giardiniere, il Giardino dell’Eden e moltissime altre interpretazioni possibili di uno delle tante easter eggs che Howard Phillips Lovecraft inserì nel suo racconto come spiego nel saggio “Il Colore Venuto dallo Spazio” primo numero della collana I Miti di Arkham che analizzerà nel prossimo futuro l’opera e le curiosità, del Sognatore di Providence. Nel film Stanley cambia anche i nomi dei tre figli… ma perché, che bisogno c’era?
Che bisogno c’era di inserire una figlia wiccan? O il Necronomicon di Simon nella vicenda?
Che bisogno c’era di mettere, l’interessante, personaggio di Ezra? 
E perché cancellare i tre professori della Miskatonic?
Davvero incomprensibile perchè così si perdono delle chicche, dei giochi di parole che H. P. Lovecraft aveva sapientemente inserito nel suo racconto.
Concludendo quindi, a parte tutto questo, che non è poco e sembra del tutto gratuito, il film è piacevole nonostante non sia fedele al racconto come poteva essere.


PS:

Nonostante la terribile situazione attuale, ho deciso di continuare a postare e a far uscire anche il mio saggio annotato intitolato  “Il Colore Venuto dallo Spazio” benché, devo ammettere, che non sono riuscito a curare l’editing dello stesso come altri libri. Me ne scuso fin d’ora con i lettori. 

mercoledì 8 aprile 2020


NEMESIS


Il poema pubblicato per la prima volta sul numero 7 di The Vagrant, (giugno 1918), ha dato da pensare a molti. L’origine è dibattuta e anche lo scenario che rappresenta ancor oggi è oggetto di ipotesi. In una lettera all’amico Rheinhart Kleiner dell’8 novembre 1917, Lovecraft scrive che Nemesis è frutto dei suoi sogni e che fu vergata «nelle sinistre prime ore d’una cupa mattina del giorno dopo Ognissanti, il che potrebbe dar conto del tono e dell’atmosfera. Presenta il concetto, accettabile per la mente ortodossa, che gli incubi costituiscano la punizione inflitta all’anima per colpe commesse in una precedente incarnazione – forse milioni d’anni prima!».



Questo accenno alla reincarnazione è la prova che Lovecraft fosse un vero occultista e che le sue opere sono dotate di diversi livelli di lettura?
Lasciamo a voi l’ardua sentenza con un’inaspettata chicca musicale finale.





Nemesis


Oltre le cupe porte del sonno vigilate dai ghoul,
Oltre l'abisso della luna calante della notte,
ho vissuto innumerevoli vite,
ho sondato ogni cosa col mio sguardo;
e combatto gridando disperato ad ogni aurora spinto dal terrore nella follia.

Ruotavo con la Terra al mattino,
quando il cielo era un turbine di fiamma;
ho visto l’universo oscuro sbadigliare
là dove pianeti neri vagano senza scopo,
vagano nell’orrore inavvertiti, senza fama né nome né coscienza.

Ho aleggiato su mari sconfinati,
sotto sinistri cieli grigio-piombo
lacerati da folgori improvvise,
che risuonano di grida isteriche,
con gemiti di dèmoni invisibili emersi dalle acque di smeraldo.

Come un daino ho sostato sotto gli archi
delle grandi foreste primordiali,
ove le querce avvertono la presenza marcescente
e ho camminato in luoghi evitati dagli spettri,
e alla cosa che mi circonda sono sfuggito, a colei che percola dai rami.

Mi sono imbattuto in montagne piene di caverne
Che sorgono sterile e desolate dalla pianura,
Ho bevuto dalle fontane di fetida nebbia
Che trasudano giù alla palude;
ed in fonti sulfuree maledette ho visto cose che non oso veder di nuovo.

Ho visto un gran palazzo cinto d’edera,
nelle sue sale vuote sono entrato,
dove la luna alta sulle valli
proietta strane ombre sulle mura:
apparenze deformi ed intrecciate, il cui ricordo non oso richiamare.

Ho scrutato nel caseggiato meravigliato
Ho osservato i prati selvaggi intorno,
Al villaggio dai molti tetti sotto
La maledizione di una terra sepolcrale;
E da file di marmo bianco scolpito dalle urne ascolto attentamente il suono.

Ho infestato le tombe millenarie,
ho volato su vette di terrore
là dove infuria l’Erebo fumante,
dove s’ergono desolati picchi innevati;
e in regni dove il sole del deserto consuma quanto non può rallegrare.

Ero già vecchio quando i Faraoni
ascesero sul trono ingioiellato presso il Nilo;
ero vecchio in quelle epoche lontane
in cui io e solo io davo corpo al male,
e l’Uomo ancora incontaminato e felice dimorava nell’isola artica.

Oh, grande fu il peccato del mio spirito,
E grande è la portata del suo destino;
Neppure la pietà del cielo può rallegrarlo,
Né tregua può trovare nella tomba:
giù gli eoni infiniti arrivano battendo le ali di tristezza spietata.

Oltre le cupe porte del sonno vigilate dai ghoul,
Oltre l'abisso della luna calante della notte,
ho vissuto innumerevoli vite,
ho sondato ogni cosa col mio sguardo;
e combatto gridando disperato ad ogni aurora spinto dal terrore nella follia.



Così bello, così descrittivo; il poema descrive lo stupore, la nascita dell'universo, del nostro mondo secondo la prospettiva del grande avversario dell'umanità. All'interno della Bibbia questo potrebbe essere chiamato Satana, Lucifero, Belzebù ... ecc; ma all'interno dei Miti di Cthulhu potrebbe essere il potente Nyarlathotep?
Chi può dirlo?


Curiosamente la versione inglese originale di “Nemesis”, scritta oltre cento anni fa, ha la stessa metrica della canzone di Billy Joel intolata “Piano Man.”
Ecco la stesura originale di Nemesis e di seguito il link per ascoltarla:

Nemesis

Thro’ the ghoul-guarded gateways of slumber,
Past the wan-moon’d abysses of night,
I have liv’d o’er my lives without number,
I have sounded all things with my sight;
And I struggle and shriek ere the daybreak, being driven to madness with fright.

I have whirl’d with the earth at the dawning,
When the sky was a vaporous flame;
I have seen the dark universe yawning,
Where the black planets roll without aim;
Where they roll in their horror unheeded, without knowledge or lustre or name.

I had drifted o’er seas without ending,
Under sinister grey-clouded skies
That the many-fork’d lightning is rending,
That resound with hysterical cries;
With the moans of invisible daemons that out of the green waters rise.

I have plung’d like a deer thro’ the arches
Of the hoary primordial grove,
Where the oaks feel the presence that marches
And stalks on where no spirit dares rove;
And I flee from a thing that surrounds me, and leers thro’ dead branches above.

I have stumbled by cave-ridden mountains
That rise barren and bleak from the plain,
I have drunk of the fog-foetid fountains
That ooze down to the marsh and the main;
And in hot cursed tarns I have seen things I care not to gaze on again.

I have scann’d the vast ivy-clad palace,
I have trod its untenanted hall,
Where the moon writhing up from the valleys
Shews the tapestried things on the wall;
Strange figures discordantly woven, which I cannot endure to recall.

I have peer’d from the casement in wonder
At the mouldering meadows around,
At the many-roof’d village laid under
The curse of a grave-girdled ground;
And from rows of white urn-carven marble I listen intently for sound.

I have haunted the tombs of the ages,
I have flown on the pinions of fear
Where the smoke-belching Erebus rages,
Where the jokulls loom snow-clad and drear:
And in realms where the sun of the desert consumes what it never can cheer.

I was old when the Pharaohs first mounted
The jewel-deck’d throne by the Nile;
I was old in those epochs uncounted
When I, and I only, was vile;
And Man, yet untainted and happy, dwelt in bliss on the far Arctic isle.

Oh, great was the sin of my spirit,
And great is the reach of its doom;
Not the pity of Heaven can cheer it,
Nor can respite be found in the tomb:
Down the infinite aeons come beating the wings of unmerciful gloom.

Thro’ the ghoul-guarded gateways of slumber,
Past the wan-moon’d abysses of night,
I have liv’d o’er my lives without number,
I have sounded all things with my sight;
And I struggle and shriek ere the daybreak, being driven to madness with fright.




Sentire per credere: