giovedì 25 settembre 2025

 

Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft: l’eco dell’orrore cosmico

 

 


 

Ci sono incontri che non avvengono mai, ma che sembrano inevitabili. Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft appartengono a mondi lontanissimi: il primo, figlio della working class di Birmingham, diventato la voce più riconoscibile e controversa dell’heavy metal; il secondo, Sognatore di Providence, perché solitario non era assolutamente, artefice di un immaginario letterario che ha rivoluzionato la narrativa weird horror.

Eppure, quando si ascoltano i primi album dei Black Sabbath, di cui Ozzy in origine era la voce, e si leggono i racconti lovecraftiani, appare chiaro che i loro testi condividano lo stesso oscuro respiro: l’angoscia dell’ignoto, la fascinazione per il sogno, la paura del cosmo e l’orrore indicibile, che non si può descrivere.

La connessione più diretta si trova nel brano “Behind the Wall of Sleep”, contenuto nell’album d’esordio dei Black Sabbath (1970), il cui titolo rimanda al racconto lovecraftiano Beyond the Wall of Sleep (1919). Ma le analogie non si fermano qui. Attraverso atmosfere, testi e visioni, Ozzy e Lovecraft hanno costruito due linguaggi paralleli, capaci di dare voce a una stessa intuizione: l’uomo è fragile e insignificante di fronte alle forze oscure dell’universo.

 

Lovecraft e il terrore cosmico

Per comprendere le affinità, occorre ricordare i tratti fondamentali dell’estetica lovecraftiana.

Lovecraft definiva la sua narrativa come “weird fiction”, una letteratura del perturbante, che si nutriva della paura dell’ignoto più che dell’orrore esplicito. In un passaggio celebre, il padre di Cthulhu scrive:

“La più antica e potente emozione umana è la paura, e la più antica e potente forma di paura è la paura dell’ignoto.” (Supernatural Horror in Literature, 1927)

Nei suoi racconti, il terrore non nasce dalla presenza di un mostro visibile, ma dall’idea che oltre i confini della percezione si celino forze cosmiche incomprensibili. Il cosiddetto cosmicismo è la visione filosofica che sottende la sua opera: l’universo è vasto, indifferente e ostile, e l’essere umano occupa un posto insignificante.

Questo sentimento pervade racconti come “Il Richiamo di Cthulhu” (1926), “L’Ombra su Innsmouth” (1931) o il romanzo “Alle Montagne della Follia” (1931). Non solo: i sogni giocano un ruolo essenziale nella poetica lovecraftiana, tanto da dar vita a un vero e proprio “Ciclo Onirico”, dove mondi paralleli si rivelano attraverso stati di coscienza alterati.

 


I Black Sabbath e la nascita del metal oscuro

Quando i Black Sabbath debuttarono con l’album omonimo nel 1970, il mondo del rock era ancora dominato dalla psichedelia e dal blues rock. Tony Iommi, Geezer Butler, Bill Ward e Ozzy Osbourne cambiarono le regole e trascinarono nella musica un’oscurità inedita.

Il brano d’apertura, “Black Sabbath”, con il suo riff tritonico e i tuoni in sottofondo, evocava immediatamente un’atmosfera di terrore. Ozzy cantava:

“What is this that stands before me?

Figure in black which points at me...”

Non c’erano più colori psichedelici o inni alla pace, ma visioni di presenze oscure, demoniache, oniriche. Lo stesso Geezer Butler ricordava:

“La gente andava al cinema a vedere film horror. Noi pensammo: perché non creare musica che trasmetta le stesse sensazioni?” (intervista a Rolling Stone, 2017).

Il linguaggio musicale dei Sabbath era dunque già vicino a quello di Lovecraft: entrambi puntavano a evocare un orrore indefinito, a lasciare immaginare più che a descrivere.

 


Behind the Wall of Sleep – il varco lovecraftiano

Nella follia di Ozzy riecheggia quella degli sfortunati protagonisti dei racconti di H. P. Lovecraft, eppure il collegamento più concreto tra Ozzy e Lovecraft si trova in “Behind the Wall of Sleep”, secondo brano del primo album dei Sabbath.

Il racconto lovecraftiano

In “Beyond the Wall of Sleep” (1919), Lovecraft narra la vicenda di un internato in un ospedale psichiatrico che, durante le ore di sonno, sembra trasformarsi in un essere luminoso, proveniente da un’altra dimensione. Il narratore, grazie a una macchina telepatica, entra in contatto con questo spirito e scopre un universo vastissimo, popolato da entità cosmiche. Il racconto ruota intorno a due elementi centrali: il sogno come portale-soglia verso altre realtà, e la rivelazione che la coscienza umana è solo un riflesso di energie cosmiche incomprensibili.

 

Il brano dei Black Sabbath

Il testo della canzone omonima scritto da Geezer Butler e cantata da Ozzy, recita:

“Visions cupped within a flower

Deadly petals with strange power

Faces hidden in an endless maze

With the mind they travel miles...”

Non trovo un parallelo diretto con la trama del racconto. La canzone sembra piuttosto parlare di droghe e stati di coscienza alterati, descrivendo un viaggio mentale. Tuttavia, l’eco lovecraftiano resta evidente nel titolo, e nella suggestione che la mente possa viaggiare “oltre” la realtà percepibile.

Molti studiosi della cultura metal hanno sottolineato come “Behind the Wall of Sleep” costituisca un ponte simbolico tra la letteratura di Lovecraft e la musica heavy metal. Non un adattamento fedele, ma un omaggio estetico che aprì la strada a generazioni di musicisti che avrebbero saccheggiato l’immaginario lovecraftiano con maggiore consapevolezza (Metallica, Electric Wizard, Cathedral, ecc.).

 

Al di là di questa canzone, dal titolo evidentemente lovecraftiano, i parallelismi tra Ozzy/Lovecraft sono numerosi. Se si analizza, infatti, il tema il terrore dell’ignoto, a tutti risulta evidente che Lovecraft lo teorizzava nelle sue opere mentre Ozzy lo urlava dal palco. Canzoni come Black Sabbath o Children of the Grave evocano presenze oscure e incontrollabili.

Riguardo il tema dell’alienazione cosmica troviamo in Planet Caravan e Into the Void, l’uomo che vaga nello spazio infinito e l’idea che l’universo sia troppo vasto per essere compreso è tipicamente lovecraftiana.

Che dire poi del tema onirico e delle visioni? Lovecraft ambientava interi cicli narrativi nei sogni. Ozzy cantava esperienze psichedeliche e oniriche, frutto di droghe e visioni: due vie diverse per accedere allo stesso “altrove”.

E risulta immediatamente che la follia come destino, tema principale di molti racconti di Lovecraft, ove i protagonisti spesso impazziscono di fronte alla verità cosmica ricordi un po’ proprio la vita di Ozzy. Vieppiù, i Sabbath, con testi come Paranoid non hanno fatto altro che riflettere la fragilità mentale e l’ossessione. Per non parlare di Patient n. 9 di Ozzy Osbourne.

 

Lovecraft nel metal dopo Ozzy

Il varco aperto dai Sabbath con Behind the Wall of Sleep è stato poi attraversato da molte altre band:

Metallica con The Call of Ktulu (1984) e The Thing That Should Not Be (1986);

Electric Wizard, intero filone doom con brani come Dunwich;

Fields of the Nephilim, con atmosfere lovecraftiane nei testi e nei titoli.

Ozzy non proseguì su quella linea in modo sistematico, ma la sua voce resta il primo grido metal che abbia evocato l’universo lovecraftiano.

Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft non hanno mai condiviso lo stesso linguaggio, né le stesse fonti. Il primo guardava al cinema horror e al vissuto psichedelico; il secondo, alla letteratura fantastica e alla filosofia dell’ignoto. Ma entrambi hanno cercato di dare forma allo stesso sentimento: l’orrore di fronte a un universo che ci supera.

Behind the Wall of Sleep rimane il simbolo di questo incontro mai avvenuto, un titolo che unisce la voce del metal e la penna del weird, e che dimostra come la cultura popolare e la letteratura possano incontrarsi nei corridoi oscuri della nostra immaginazione.

mercoledì 20 agosto 2025

 La Creatura di Gyeongseong e L’Orrore di Dunwich



Oggi nasceva H. P. Lovecraft. Oggi nasceva un mito che ha solcato i secoli, è proprio il caso di dirlo, per declinarsi in decine, se non centinaia di narrative. 

Ed ecco che lo ritroviamo, ancora una volta, in La creatura di Gyeongseong, a cui abbiamo già dedicato un post il mese scorso. La serie tv si distingue per la sua miscela di horror, storia e dramma umano. Una delle chiavi di lettura più affascinanti della serie è il suo possibile legame con l’opera di H.P. Lovecraft, in particolare con L’orrore di Dunwich e il rapporto tra Lavinia Whateley e la creatura mostruosa generata dall’unione con l’entità ultraterrena Yog-Sothoth.





Nel racconto lovecraftiano, Lavinia Whateley è una figura di madre tragica e ambigua. È descritta come una donna albina e deforme, che dà alla luce non solo un figlio umano, Wilbur, ma anche una creatura mostruosa, frutto di una sinistra unione con Yog-Sothoth, entità cosmica e aliena. Questo legame rappresenta la fusione tra l’umano e l’ignoto, il naturale e il sovrannaturale, con tutte le implicazioni di perdita d’umanità, paura e mistero.

In La creatura di Gyeongseong, assistiamo a una dinamica simile, seppur contestualizzata in un contesto storico e culturale completamente differente. La madre di Yoon Chae-ok è trasformata in una creatura mostruosa a seguito di esperimenti scientifici segreti, riflettendo l’orrore della manipolazione genetica e del colonialismo. Questo legame madre-figlia, intriso di amore ma segnato dalla mostruosità, echeggia la relazione tra Lavinia e la sua creatura, ponendo in luce il tema universale della maternità come fonte di vita ma anche di orrore.

Uno degli aspetti più significativi nel confronto tra le due opere riguarda l’origine dell’orrore. Lovecraft inserisce l’orrore in un contesto sovrannaturale e cosmico, dove entità antiche e incomprensibili dominano la realtà. L’Orrore di Dunwich nasce dalla magia, dall’occulto e dal rapporto con divinità aliene, che trascendono la comprensione umana.




La creatura di Gyeongseong, invece, sposta la radice dell’orrore verso la scienza e la storia: esperimenti genetici e la realtà brutale dell’occupazione giapponese della Corea negli anni ’30. L’orrore qui diventa più tangibile, più “storico”, eppure altrettanto profondo e perturbante. La creatura rappresenta non solo la paura ancestrale, ma anche la conseguenza di azioni umane, di violenza e dominio.

Entrambe le narrazioni esplorano la tensione tra umanità e mostruosità, ma lo fanno da prospettive diverse. Lavinia Whateley è vittima e complicata custode di un segreto oscuro che sconvolge i confini tra ciò che è umano e ciò che non lo è. Nella serie coreana, la madre di Chae-ok diventa un simbolo del dolore collettivo e personale, un ponte tra passato e presente, umano e altro.




La maternità, in entrambi i casi, si fa metafora del legame indissolubile con la creatura dell’orrore. Un legame che non si limita alla biologia, ma abbraccia la paura, la perdita e l’accettazione di ciò che non può essere controllato.

Quindi, pur nelle loro differenze, La creatura di Gyeongseong e L’Orrore di Dunwich condividono una profonda esplorazione delle dinamiche tra umano e mostruoso, tra amore e terrore. La serie coreana non è una semplice trasposizione del mito lovecraftiano, ma una rielaborazione che unisce l’orrore cosmico con le tragedie storiche, la scienza e le tensioni culturali.

Il legame tra Yoon Chae-ok e sua madre si configura così come una potente metafora contemporanea del conflitto tra identità e oppressione, tra il desiderio di preservare ciò che ci rende umani e la paura dell’ignoto che ci trasforma.

mercoledì 23 luglio 2025


La Creatura di Gyeongseong e H. P. Lovecraft



A prima vista, La creatura di Gyeongseong e l’universo letterario di H. P. Lovecraft potrebbero sembrare lontani: l’uno una serie TV coreana ambientata nella Seul coloniale del 1945, l’altro un corpus narrativo statunitense degli anni ’20 e ’30 incentrato su culti alieni, conoscenze proibite e mostri ancestrali. Eppure, dietro il velo della superficie si cela un’inaspettata consonanza.

Eppure entrambi  esplorano l’orrore dell’ignoto, il limite della conoscenza, la decadenza dell’umano e la follia come risposta al contatto con l’inspiegabile. Non siamo solo davanti a creature mostruose: siamo al cospetto dell’abisso ontologico in cui il senso dell’umano si dissolve.

In Lovecraft, mostri come Shub-Niggurath o Wilbur Whateley (L'Orrore di Dunwich) incarnano l'idea che l’umano sia poroso, instabile, fragile. Nella serie coreana, la creatura generata dagli esperimenti giapponesi segue un’analoga logica: è un corpo mutato, de-umanizzato, in grado di sopravvivere ma privo di volontà e identità. È un essere che non appartiene più alla nostra biologia né alla nostra etica.

“L’essere che si contorce nel laboratorio non è altro che uno specchio rovesciato dell’uomo moderno, vittima della sua stessa scienza.”

Come in Herbert West, Rianimatore, l’aberrazione nasce da un esperimento scientifico spinto oltre il limite etico, dove la morte stessa è negata. In entrambi i casi, l’orrore non è soprannaturale in senso religioso, ma biologico, razionale, meccanicistico — ed è proprio questo a renderlo ancora più terrificante.




In Lovecraft, la ricerca della conoscenza conduce all’autodistruzione: l’uomo non è fatto per conoscere i segreti dell’universo. Nella serie, l’ospedale Ongseong è una riedizione lovecraftiana forse del mito della Torre di Babele: qui si compiono esperimenti per manipolare la biologia, creare l’essere perfetto, sconfiggere la morte.

Questa "scienza deviata" ha un’eco evidente nel racconto Alle montagne della follia, dove una spedizione scopre una città antica e i resti di una razza biologicamente superiore (gli Antichi). I protagonisti vi leggono la loro storia, ma pagano con la perdita della ragione.

Se Lovecraft pone il suo orrore in città decadenti, templi sepolti, villaggi malsani come Innsmouth, Arkham, o nelle profondità oceaniche, La creatura di Gyeongseong ambienta il terrore in una Seul coloniale militarizzata, oppressa, e profondamente malata.

Nella serie sono molti i riferimenti all'epoca Lovecraftiana, soprattutto nella prima stagione. Ci sono, peraltro, anche similitudini ambientali come sotterranei oscuri come le catacombe o i laboratori lovecraftiani, l'ospedale Ongseong poi, sembra uscito proprio dalla penna del Sognatore di Providence.

Lovecraft associa il male a culti e antichi ordini, nella serie tv invece è associato a esperimenti militari e coloniali.



Un punto centrale del pensiero lovecraftiano è che l’universo è indifferente. Le sue entità non sono cattive — sono solo troppo grandi per essere comprese. L’uomo è una formica che crede di dominare il proprio mondo. Quando scopre l’orrore, impazzisce.

Nella serie coreana, questa indifferenza prende forma attraverso varie forme. La brutalità dell’Impero giapponese (che usa gli esseri umani come cavie). La creatura, priva di coscienza morale, ma nata dalla mano dell’uomo, come in Frankenstein. La perdita della memoria e dell’identità come condanna esistenziale (elemento centrale nella seconda stagione).

Lovecraft è stato definito un materialista cosmico: per lui, l’uomo non ha un posto privilegiato nell’universo. Le sue storie sono spesso letture antropologiche al negativo: mostrano come la pretesa di centralità dell’umano sia un’illusione.

La creatura di Gyeongseong, pur mantenendo una forte carica emotiva e politica (legata alla dominazione giapponese), si avvicina a un post-umanesimo critico. La creatura, figlia dell’uomo, è un nuovo stadio dell’evoluzione tragica: è ciò che accade quando la tecnologia precede l’etica.



La serie coreana  non è un semplice omaggio a Lovecraft. È una rielaborazione culturale e politica del suo orrore. Al terrore cosmico, la serie sostituisce un orrore storico, biologico e istituzionale, ma mantiene l’elemento cruciale: l’irrappresentabilità del male, l’impossibilità di comprenderlo e l’assurdità del tentativo di dominarlo.

giovedì 15 maggio 2025

 Lovecraft & Kiseiju: The Gray




Continuiamo su questa linea mediatica , ma ci lanceremo presto in nuovo approfondimenti su H. P. Lovecraft non temete, prendiamoci solo qualche altro attimo per esplorare un'altra serie tv decisamente influenzata da Lovecraft. In passato abbiamo analizzato Aquaman, Il Trono di Spade, Alice in Borderland e perfino Harry Potter, scoprendo collegamenti e coincidenze impensabili: adesso è il momento di una serie davvero particolare che omaggia il Sognatore di Providence. 

Kiseiju: The Grey, serie coreana tratta dal manga giapponese Kiseiju di Hitoshi Iwaaki, è un’opera che, pur nel suo contesto di fantascienza horror contemporanea, affonda le radici nella tradizione dell'orrore cosmico  di Lovecraft. Anche se l’opera non fa espliciti riferimenti al maestro di Providence, le influenze sono evidenti e profonde, tanto nei suoi presupposti narrativi quanto nelle atmosfere e nei dilemmi esistenziali che esplora.

Nel cuore della narrativa di Lovecraft vi è la paura dell’ignoto, spesso rappresentata da entità aliene così estranee alla comprensione umana da risultare inconcepibili. In Kiseiju, i parassiti caduti sulla Terra sono esseri non identificabili, privi di origine nota, dotati di poteri sovrumani e capaci di infiltrarsi nel corpo umano, assumendone l’aspetto e controllandolo.

Come i Grandi Antichi lovecraftiani (pensiamo a Nyarlathotep, Azathoth o Cthulhu), questi esseri sono indifferenti all’umanità. Non sono malvagi in senso morale, semplicemente funzionano secondo logiche aliene, inaccessibili e inimmaginabili. Il mondo non viene invaso da mostri che odiano l’uomo, ma da forme di vita superiori e incomprensibili che agiscono per istinto o sopravvivenza, ignorando il concetto umano di empatia o compassione.

Questa assenza di spiegazioni, questa reticenza a fornire una mitologia chiara, rafforza il senso di angoscia metafisica: il cosmo non ci deve nulla, e potrebbe annientarci senza accorgersene.

L’identità corrotta: ibridazione, contaminazione e crisi dell’io

Un altro elemento centrale sia in Lovecraft che in Kiseiju è il tema dell’identità contaminata. I parassiti si fondono con l’organismo umano, consumandolo o convivendo con esso. Questo rispecchia il motivo lovecraftiano della fusione tra umano e alieno, spesso declinato in forma di aberrazione: basti pensare a La maschera di Innsmouth, dove i protagonisti scoprono d’essere discendenti di creature marine, o al racconto Colui che sussurrava nelle tenebre, dove si descrivono esseri in grado di trapiantare cervelli umani in contenitori meccanici.

In Kiseiju i protagonisti devono convivere con queste entità, dando vita a una relazione simbiotica, ambigua, spesso psicologicamente traumatizzante. È l’eco della perdita del confine tra l’umano e l’Altro, un tema che Lovecraft considerava la più profonda delle paure: non sapere più chi si è, non potersi più distinguere dall’abisso.

Lovecraft ha spesso suggerito che la lotta umana contro l’ignoto è futile. Le sue storie raramente hanno un lieto fine: i protagonisti impazziscono, vengono distrutti o scoprono verità che avrebbero preferito ignorare.

Nella serie, anche l’organizzazione che combatte i parassiti, la cosiddetta “Team Grey”, appare inadeguata, costantemente in svantaggio. La tecnologia, le armi, la scienza: tutto ciò che l’umanità ha costruito sembra impotente contro la forza primordiale e fredda di questi invasori. Anche quando si ottiene una “vittoria”, essa è parziale, costosa e lascia aperto un abisso di incertezze.

Il mondo non torna mai alla normalità, come in Lovecraft: resta trasformato, più oscuro, contaminato dalla consapevolezza che l’universo è vasto, ostile e privo di senso.



I parassiti come archetipi dei Grandi Antichi

Se finora abbiamo analizzato la corrispondenza tematica tra la serie e Lovecraft, nella seconda parte ci concentreremo sugli aspetti visivi, biologici e simbolici dei parassiti, interpretandoli alla luce della mitopoiesi lovecraftiana. La loro rappresentazione fisica, le loro abilità e la loro logica sembrano emergere direttamente dall’iconografia e dai concetti del pantheon lovecraftiano.

I parassiti di questa serie coreana possiedono un corpo fluido e mutabile. Le loro teste possono trasformarsi in lame, tentacoli, occhi multipli o bocche mostruose, tutte caratteristiche presenti nei racconti lovecraftiani.

Lovecraft descrive spesso i suoi mostri come forme in continuo cambiamento: “ammassi di carne gelatinosa”, “occhi che emergono dove non dovrebbero esserci”, “arti tentacolari che violano ogni logica anatomica”. Il richiamo più ovvio è a Shoggoth, l’organismo polimorfo che può assumere qualsiasi forma, oppure a Nyarlathotep, il “caos strisciante” che cambia aspetto e funzione.

In entrambi i casi, il corpo del mostro non ha un’identità definita: come i parassiti, è solo uno strumento per l’adattamento e la sopravvivenza, qualcosa che si trasforma per attaccare, difendersi o confondere. Questo rimanda all’idea lovecraftiana di un universo dove le leggi della biologia terrestre non hanno più validità.


Linguaggio e comunicazione: l’assenza dell’umano

Una caratteristica importante dei mostri lovecraftiani è l’incomunicabilità. Le loro voci sono descritte come suoni gutturali, sussurri impossibili da comprendere o onde psichiche che travolgono la mente. Il linguaggio è una barriera, e l’incontro con il mostro è spesso silenzioso e spaventoso proprio perché l’altro non parla la nostra lingua – né in senso letterale, né in senso concettuale.

In Kiseiju, i parassiti non comunicano con gli umani nel modo tradizionale. Alcuni sviluppano un linguaggio, ma molti operano in modo autonomo, impersonale, quasi meccanico. I più pericolosi non parlano affatto, si limitano ad agire. Questo silenzio glaciale li rende ancora più inquietanti: sono intelligenze superiori, ma disumane, non interessate a negoziare.

Il parallelo qui è forte con le entità come Azathoth, il dio cieco e idiota che pulsa al centro del cosmo, o con il Re in Giallo, la cui semplice visione o ascolto porta alla follia. I parassiti, come i mostri di Lovecraft, trasmettono un senso di minaccia proprio perché sono al di fuori della comunicazione e dell’etica.

Uno dei tratti fondamentali del mito di Cthulhu è che i Grandi Antichi non hanno una genesi chiara. Vengono da “oltre le stelle”, da altre dimensioni, o sono anteriori alla formazione dell’universo stesso. La loro esistenza è un mistero, e ogni tentativo di comprenderli conduce alla follia.

Allo stesso modo, i parassiti nella serie non hanno un’origine definita. Non si sa da dove vengano, né perché siano apparsi. Le teorie spaziano dall’extraterrestre al biologico, ma la serie rifiuta di fornire una risposta chiara, preferendo mantenere il senso di disorientamento e di meraviglia terrificante.

Questa scelta narrativa è perfettamente lovecraftiana: il mistero non è un difetto della trama, ma il cuore dell’orrore. L’ignoto non è qualcosa da spiegare, ma da esperire, e la sua forza sta proprio nell’assenza di spiegazione.

Kiseiju è un perfetto esempio di come l’influenza di H. P. Lovecraft sia ancora viva e vegeta nell’horror moderno. Al di là dell’estetica, la serie ne eredita il cuore filosofico: l’orrore non sta nella morte, ma nell’insignificanza. Non temiamo i parassiti perché uccidono, ma perché ci mostrano quanto siamo fragili, contingenti, marginali in un cosmo indifferente.

Lovecraft ha sempre detto che “la più antica e potente emozione umana è la paura, e la più antica e potente forma di paura è la paura dell’ignoto.” Kiseiju: The Grey prende questa idea e la trasforma in un racconto visivo, dinamico e moderno, ma profondamente fedele allo spirito dell’orrore cosmico.

Nel tessuto narrativo che intreccia la serie tv e il mito di Cthulhu di H.P. Lovecraft, si disvela un affascinante confronto che trascende le semplici suggestioni estetiche. Entrambe le opere si addentrano nei meandri della paura cosmica, nella disintegrazione dell’identità umana e nell’incomprensibilità dell’Altro, pur muovendosi in contesti e linguaggi differenti: uno visivamente urbano e moderno, l’altro letterario e metafisico. Eppure, i punti di contatto sono molteplici, profondi e rivelatori.



I Mostri: Parassiti e Divinità Cosmogoniche

Qui gli esseri alieni — i parassiti — si insinuano silenziosi nei corpi umani, prendendo possesso delle loro menti, ridefinendone l’identità e cancellando i confini tra l’umano e l’inumano. Questi esseri, privi di una reale coscienza morale, agiscono per istinto o sopravvivenza, simili a predatori. La loro natura proteiforme — teste che si aprono in bocche dentate, arti che si allungano in lame — evoca un immaginario mostruoso fortemente affine a quello lovecraftiano.

Nel mito di Cthulhu, i Grandi Antichi — tra cui Cthulhu stesso, Yog-Sothoth, Nyarlathotep — incarnano il concetto di entità cosmiche infinitamente superiori, la cui semplice esistenza è incompatibile con la comprensione umana. Anche qui, i mostri sono alieni in senso radicale: non solo provenienti da altri mondi, ma da altre dimensioni del reale, da epoche anteriori all’umanità stessa. Non sono malvagi in senso umano, perché non riconoscono l’esistenza della morale come la intendiamo. Come i parassiti, esistono e agiscono secondo logiche proprie, indifferenti all’individuo.

La coincidenza narrativa è netta: sia nei parassiti che nei Grandi Antichi, vi è una negazione dell’antropocentrismo. Entrambe le creature, pur su piani ontologici differenti, destabilizzano l’idea dell’uomo al centro dell’universo. I parassiti, seppur fisicamente assimilabili, sono concettualmente affini agli emissari lovecraftiani: sono il riflesso dell’invasione dell’ignoto, della contaminazione che disgrega la coerenza della realtà ordinaria.


I Protagonisti: Umanità Spezzata

Nel cuore della serie, troviamo personaggi come Jeong Su-in e Kang-woo, coinvolti loro malgrado in una guerra biologica contro esseri che sfidano ogni logica. Su-in, in particolare, rappresenta una figura ambigua, ibridata da un parassita con cui condivide corpo e coscienza. La sua identità è frammentata, sospesa tra l’umano e l’alieno, tra empatia e istinto predatorio. In lei risiede una tensione tragica: la ricerca di un senso in un mondo improvvisamente invaso dall’inconoscibile.

Allo stesso modo, nei racconti di Lovecraft i protagonisti sono spesso studiosi, scienziati, esploratori dell’occulto che si spingono troppo oltre i limiti della conoscenza umana. Uomini come il narratore de Il richiamo di Cthulhu, o il protagonista de L’orrore di Dunwich, sono figure che, venute a contatto con il vero volto della realtà cosmica, cadono inesorabilmente nella follia o nella disperazione. In entrambi i casi, la scoperta non porta potere, ma rovina.

Su-in, come Randolph Carter, è testimone di un mondo altro che la spinge sull’orlo della disumanizzazione. Ma se nei miti lovecraftiani l’esito è spesso la dissoluzione dell’io, nella serie coreana rimane invece uno spiraglio di resistenza, una volontà di preservare la propria umanità anche nella coabitazione con l’ignoto. Eppure, il dolore dell’ibridazione, la solitudine dell’unicità e il sospetto della società sono comuni a entrambi.


La Filosofia del Terrore

Infine, ciò che più avvicina questa serie tv al corpus lovecraftiano non è l’aspetto dei mostri, ma la concezione del terrore. In entrambi i mondi, il vero orrore non è la morte, ma l’alterità irriducibile. L’idea che l’universo non solo non ruoti attorno all’uomo, ma che ne ignori completamente l’esistenza. In questo senso, ogni creatura ostile diventa specchio del nichilismo cosmico: gli dèi antichi e i parassiti sono ugualmente manifestazioni del caos che sovrasta ogni logica e ordine.

La differenza principale è culturale: Lovecraft scrive in un’epoca e in un contesto di crisi dell’Illuminismo, rispondendo alla frattura tra scienza e religione con un abisso d’indifferenza cosmica. Kiseiju: The Grey, al contrario, si muove in un panorama postmoderno, dove l’orrore nasce dal confronto con la biotecnologia, l’identità digitale, la dissoluzione della privacy, e la fragilità della coscienza collettiva. Ma il nucleo filosofico resta sorprendentemente simile.

In definitiva, la serie tv non è una trasposizione del mito di Cthulhu, ma ne è un’eco potentemente contemporanea. I mostri che camminano tra gli uomini, le identità che si sgretolano sotto il peso dell’invasione aliena, le menti che vacillano davanti a ciò che non può essere compreso: tutto questo costituisce una linea narrativa comune. Un ponte tra la Seoul invasa dai parassiti e le desolate lande della Nuova Inghilterra immaginate da Lovecraft. Entrambe sono abitate da una verità impensabile: l’umanità è solo una parentesi fragile, nel vasto e terrificante mistero del cosmo.

I testi di H.P. Lovecraft, pur dichiaratamente laici e spesso antireligiosi nel tono, pullulano di simbolismi religiosi e mitologici reinterpretati in chiave completamente nuova, in un contesto in cui il divino tradizionale viene sostituito da un’idea di "cosmico" più terrificante che sacro. La sua opera è attraversata da un costante dialogo (spesso polemico o corrosivo) con il linguaggio e l'immaginario religioso, e molti degli stessi simboli e strutture si ritrovano, in chiave moderna e tecnologica, anche in Kiseiju: The Grey.


Il culto dell’ignoto: tra religione e blasfemia

Nei racconti di Lovecraft, soprattutto in Il richiamo di Cthulhu, l’elemento religioso è presente in forma di culto oscuro, tribale, pagano, ma al tempo stesso incredibilmente strutturato. Esistono preghiere, cerimonie, invocazioni e persino “sacerdoti” di Cthulhu, come il folle Castro o i degenerati abitanti di Innsmouth. Ma la differenza cruciale è che queste divinità non sono benevole, non ascoltano preghiere, e non offrono redenzione: sono esseri alieni, spesso dormienti, il cui risveglio causerebbe la distruzione totale della realtà umana.

In Kiseiju: The Grey, questa tematica non viene affrontata frontalmente con simboli religiosi espliciti, ma ne assorbe il senso più profondo. I parassiti non sono divinità, ma per come agiscono, potrebbero essere visti come “angeli rovesciati” o “dei biologici”: scendono dal cielo (probabilmente attraverso qualche forma di pioggia o trasmissione atmosferica), alterano il corpo, possiedono l’individuo e instaurano un nuovo ordine del mondo. Il modo in cui Jeong Su-in vive la coabitazione con il parassita ricorda profondamente l’esperienza mistica, solo che al posto della voce divina c’è un’entità amorfa, razionale, inumana, che la sfida dall’interno.

Il tema dell’incarnazione, tanto centrale nelle religioni monoteiste (Dio che si fa carne), qui è invertito: è l’ignoto che si incarna, è l’invisibile che si fa carne in modo mostruoso. Il parassita è un messia nero, un annuncio della fine più che della salvezza.



Il simbolismo del corpo: possessione e trasformazione

Nel cristianesimo e in molte altre religioni, il corpo è tempio dello spirito, sede della purezza, della colpa, della redenzione. In Lovecraft, il corpo è carne vulnerabile, soggetta a mutazioni, invasioni, decadenza. In racconti come La cosa sulla soglia o Il caso di Charles Dexter Ward, il corpo è un veicolo che può essere posseduto, svuotato, manipolato da forze aliene. La carne non è più sacra, ma profanata.

In Kiseiju: The Grey, il corpo è l’arena della lotta ontologica. Il parassita entra attraverso la testa, modifica l’anatomia, crea mostruose protuberanze, lame organiche, estensioni oculari. Ma anche qui, come in Lovecraft, il corpo mutato è il segno visibile dell’invasione dell’invisibile. Il corpo perde l’integrità, si apre a una forma di possesso — non demoniaco in senso religioso, ma comunque radicalmente “altro”.

Anche nel Vangelo, quando Cristo scaccia i demoni, essi entrano nei corpi degli animali o degli uomini. In Kiseiju: The Grey, non c’è nessun Cristo: il “demone” resta nel corpo, e l’unico modo per sopravvivere è negoziare una simbiosi, creare un compromesso con ciò che ci invade. È un simbolismo potentissimo che capovolge quello tradizionale: non la purificazione, ma l’adattamento all’impurità diventa la nuova forma di salvezza.


La blasfemia del sapere proibito

Nelle religioni abramitiche, la conoscenza è spesso ambivalente. Il frutto dell’albero del bene e del male, ad esempio, è desiderato ma proibito. Anche nella tradizione gnostica, l’illuminazione può portare alla salvezza, ma anche alla follia o alla dannazione.

In Lovecraft, questo tema è estremizzato: la conoscenza non è mai una benedizione, è sempre una maledizione. I libri come il Necronomicon, le pergamene sumeriche, le formule occulte, sono strumenti che non elevano l’uomo ma lo espongono alla verità insostenibile: che l’universo non ha uno scopo, e che l’umanità è solo un’infinitesima eccezione destinata a sparire.

In Kiseiju: The Grey, questa dimensione gnostica si riflette nell’esperienza mentale di Jeong Su-in e di coloro che cercano di comprendere la biologia dei parassiti. Chi studia queste creature ne resta segnato, moralmente e psicologicamente. Come in Lovecraft, più si cerca di sapere, più si è costretti a confrontarsi con l’insensatezza del tutto. E l’idea di una scienza che possa spiegare tutto viene minata alla radice: ci sono cose che sfuggono anche alla genetica, alla neurobiologia, alla logica.

In definitiva, pur non essendo esplicitamente religioso, l’universo di Lovecraft è impregnato di un’estetica del sacro rovesciato. Le sue divinità sono idolatriche, i suoi testi sacri sono grimori folli, i suoi miracoli sono orrori. Allo stesso modo, Kiseiju: The Grey si muove in un universo spiritualmente dissacrato, ma non privo di simbologie profonde: invasione, trasformazione, resistenza, coesistenza. Sono temi che toccano corde religiose inconsce, anche se espressi in un linguaggio moderno e biologico.

Entrambe le opere si chiedono cosa succede quando l’uomo incontra qualcosa che lo supera infinitamente, non come salvezza ma come dissoluzione. E la risposta è sempre la stessa: ci si può solo adattare o impazzire. O, come direbbe Lovecraft, “l’unica misericordia dell’universo è l’incapacità dell’uomo di mettere in relazione tutto ciò che ha appreso”.


Il profeta della verità indicibile

In Il Richiamo di Cthulhu, il protagonista è uno studioso, un razionalista: raccoglie appunti, documenti, testimonianze. Non ha un’esperienza mistica in senso stretto, ma alla fine del racconto arriva a una forma di rivelazione terrificante. Il sapere che scopre (che l’umanità è circondata da culti oscuri e che una divinità cosmica dorme sotto il mare) non lo salva, ma lo condanna a vivere con la consapevolezza dell’insignificanza umana. È, in sostanza, un profeta involontario, un Giovanni Battista del Nulla.

Allo stesso modo, in Kiseiju: The Grey, Jeong Su-in, contaminata da un parassita, vive una rivelazione interna. Il parassita non è solo un nemico: è una voce, una coscienza altra. In lei si fonde la carne con lo straniero, e attraverso questa coesistenza forzata viene a contatto con un nuovo ordine biologico ed etico. Lei non cerca la verità, ma la verità la penetra. Come nel mito, l’invasione è un’epifania rovesciata, che però produce un’identità ibrida, una nuova forma di umanità.

Entrambi i protagonisti, dunque, testimoniano qualcosa che gli altri non vogliono vedere o credere. E in questo, sono figure archetipiche di una mitologia del nostro tempo: l’eretico che ha visto l’invisibile.


I testi sacri: grimori e codice genetico

Nel culto di Cthulhu esiste un libro proibito: il Necronomicon, una sorta di Bibbia blasfema che contiene formule, nomi, date, riti. È il testo fondante di un culto sparso nel tempo e nello spazio, frammentario, sotterraneo, come una religione nascosta. Chi lo legge viene trasformato, a livello mentale e spirituale: perde la ragione, o comprende troppo.

In Kiseiju: The Grey il ruolo del Necronomicon viene preso dal corpo stesso e dal suo codice genetico. Il parassita, fondendosi con il corpo umano, riscrive il “testo biologico” della persona. Ogni mutazione, ogni trasformazione fisica, è una “parola” nuova nel linguaggio dell’evoluzione. In un certo senso, il corpo diventa la scrittura sacra, la carne è la pagina su cui l’ignoto scrive la sua volontà.

E come accade nei culti esoterici, solo pochi eletti possono sopravvivere a questo contatto. Jeong Su-in è una di loro. Come nel gnosticismo, in cui alcuni possiedono una scintilla divina capace di elevarli, nella serie solo alcuni riescono a mantenere la propria coscienza nel contatto con l’altro.


Il pantheon rovesciato

Il mito di Cthulhu ha un suo pantheon: Cthulhu, Yog-Sothoth, Azathoth, Shub-Niggurath. Non sono divinità in senso classico, ma forze primordiali, anteriori al tempo, che incarnano concetti come l’entropia, il caos, la proliferazione vitale mostruosa, la follia creatrice. Sono modelli di un cosmo indifferente, senza teleologia, senza finalità.

In Kiseiju: The Grey, non esiste un pantheon vero e proprio, ma i parassiti formano un’aristocrazia biologica: sono parte di un ordine superiore, quasi gerarchico, dotati di abilità diverse, volontà autonome, eppure connessi da un’origine comune. I leader dei parassiti, o quelli che tentano di creare un’organizzazione, agiscono come sacerdoti o arcangeli in rivolta. L’organizzazione “The Grey” stessa potrebbe essere vista come una chiesa biologica che cerca di mediare, contenere o addirittura perpetuare la presenza dell’alterità.

C’è quindi una nuova teologia del corpo e dell’invasione, in cui il parassita è simultaneamente Dio, Diavolo, e incarnazione della selezione naturale portata al limite. Non vi è un Cthulhu addormentato nel fondo dell’oceano, ma una natura risvegliata che si è fatta coscienza mutante.


Culto, paura, e trasformazione

Il culto in Lovecraft è clandestino, tribale, ereditato da antiche civiltà decadute. È formato da emarginati, visionari, folli — tutti accomunati da una fede profonda in qualcosa di terrificante. Nella serie tv, il culto è implicito: la società inizia ad accettare la convivenza con l’altro, oppure a cercarne la distruzione sistematica. Ma in entrambi i casi, l’umanità non resta immutata: il contatto con l’alterità cambia tutto, come accade in una conversione religiosa.

Il vero culto, in fondo, non è quello esplicito: è l’accettazione della nuova realtà, la metabolizzazione del fatto che il mondo è ormai governato da forze più grandi, più fredde, più spietate. Questo vale sia per chi serve Cthulhu sia per chi, in Kiseiju: The Grey, cerca un accordo tra la biologia e la coscienza. È un culto senza dogmi, ma non senza conseguenze. Un culto in cui credere equivale a mutare.


Ecco che quindi Il Richiamo di Cthulhu e Kiseiju: The Grey non fondano religioni tradizionali. Ma propongono miti fondativi per un’epoca in cui l’umano è già in fase di superamento. L’una, attraverso il terrore cosmico, suggerisce l’irrilevanza della nostra specie. L’altra, attraverso l’ibridazione e la simbiosi, suggerisce una via alternativa: trasformarsi per sopravvivere.

In entrambi i casi, non ci sarà un ritorno all’ordine. La fede in Dio è sostituita dalla consapevolezza del Caos. E il nuovo “sacro” non si manifesta attraverso miracoli, ma attraverso la carne che si apre, la coscienza che si sdoppia, il linguaggio che si inceppa. È una religione dell’entropia, dell’adattamento, del corpo come tempio dell’ignoto.


domenica 11 maggio 2025

Trovato il manoscritto perduto di

"Sotto le Piramidi"?



Sembrerebbe, il condizionale è d'obbligo, che il famoso manoscritto perduto da H. P. Lovecraft e sua moglie Sonia Green durante il loro viaggio di nozze, sia stato ritrovato in un garage di una vecchia casa di Salem.

Questo racconto è un esempio importante della collaborazione, sempre mai troppo studiata, tra Harry Houdini e H. P. Lovecraft. Houdini commissionò a Lovecraft diversi lavori, almeno tre racconti e un paio di saggi, e questo in particolare fu pubblicato originariamente nel 1924 nella rivista Weird Tales. Anche se presentato come autobiografico, il racconto è un’opera di finzione scritta interamente da Lovecraft.

La notizia viene da solo un sito dell'Oregon di cui alla fine di questo post trovate il link.



Qui di seguito inserisco le immagini presunte della prima pagina del manoscritto, vergato da Lovecraft a mano sul retro di alcune lettere commerciali, come era solito fare.






È una pagina manoscritta, in corsivo, con numerose correzioni, cancellature e aggiunte marginali. La calligrafia è leggibile ma densa, con molte parti riscritte o corrette.

In alto sono presenti simboli egiziani stilizzati, disegnati a mano. Non sono fedeli a una traduzione autentica e servono più come elemento evocativo ma se fatti interpretare direbbero: "Figlio di chi è all’interno dell’oscurità"

Numerosi passaggi sono stati cancellati o modificati. Questo dimostra che si tratta di una bozza, probabilmente la prima stesura. 
Lo stile è ricco, contorto e tipico di Lovecraft: usa frasi lunghe, subordinate e riflessioni filosofiche.

L’uso frequente di cancellature e riscritture indica un processo creativo molto attivo: Lovecraft stava chiaramente rifinendo il tono e la precisione narrativa.

Alcuni termini chiave sono riscritti più volte per ottenere la giusta sfumatura, ad esempio tra “sensational” e “authentic,” suggerendo l'intento di bilanciare l'effetto drammatico con la credibilità.


Quello che si riesce a leggere è quanto segue: 


UNDER THE PYRAMIDS
By Houdini
Transcribed by H. P. Lovecraft

(geroglifici disegnati a mano)

A mystery attracts mystery. Ever since the [wild, curious] appearance
of my [career/life] as a performer of unexplained feats, I
have been a [center] for the narratives & events
which in my calling has led people to [connect] me with the
[uncanny] & [authentic?] in such a way that some have even
ventured to attribute to some of the less rational of my
peculiar & perilous experiences some basis in
[occultism] & historical research. Many of these
matters I have told, or shall continue to tell very freely; but
there is one of which I speak with reluctance, which
I am now relating only after the [coercive] and
grilling persuasions drawn from the experience
of those who gave me rumors of [their interest] in the matter; who
have since become [appraisers] of it.

This hitherto guarded subject pertains to my
[earlier] professional visit to Egypt, [fourteen years ago?]; & has
been avoided by me for several reasons. For one thing, I
am averse to exploiting certain unmistakably actual facts
& conditions of [a disquieting kind], wholly unknown to
the myriad tourists who throng the Pyramids, or
the more [esoteric?] circles of Egypt.

It is apparently recorded with exact diligence by
the authorities at Cairo who cannot laugh away
far more than they [know]. I dislike to recount an incident in
which my own fantastic imagination must have played so
great a part. What I saw — or thought I saw —
certainly is of little place; but rather to be viewed
as a result of my then recent readings in
Egyptology, & the speculations evoked
by surroundings naturally prompted. These were
[stimuli?] of the excitement of an [artificial?] event.
The trouble [resides] in itself, undoubtably gave rise to the
unwholesome horror of that grotesque night so long past...


La bozza contiene numerosi ripensamenti. Ad esempio, "wild" è aggiunto sopra “appearance”, e parole come "experiences" e "authentic" sono sovrascritte.

Lovecraft introduce il racconto come un’esperienza misteriosa realmente vissuta da Houdini, ma di cui è riluttante a parlare.

Il tono è volutamente ambiguo, oscilla tra razionalità e soprannaturale, molto in linea con il tipico stile lovecraftiano.

C’è un accenno a un  "fourteen years ago", suggerendo un riferimento temporale interno alla narrazione.


Sarebbe interessante ed auspicabile che cominci a emergere la verità su come andarono le cose riguardo questo manoscritto. Quante volte è stato cambiato? Perchè è stato rubato? Che cosa c'era scritto nella versione originale 'perduta' da Lovecraft. Questa è la versione originale? Quella che il Sognatore di Providence stava portando a New York via treno di notte? 
Ne dubito perchè la prima versione si chiamava "Imprigionato con i Faraoni" e non "Sotto le Piramidi" titolo che venne cambiato prima della pubblicazione su Weird Tales!


https://www.oregonlive.com/opinion/2025/05/a-small-kindness-in-a-multi-million-dollar-portland-book-theft-steve-duin-column.html?fbclid=IwY2xjawKMpjhleHRuA2FlbQIxMQBicmlkETFqbWVSNGRXZzR0V2M4N0ZZAR5itXMXOaC31_SfidQwkjYj3GF2qMvWtk0QU24nUdVDLP3dYDemy3VCZoE6Xg_aem_DMm6JTiJkwu9oOf08kJFLg



domenica 4 maggio 2025

 Alice in Borderland e Lovecraft

mondi liminali, abissi mentali e il nichilismo dell’ignoto



Nel panorama della serialità contemporanea, Alice in Borderland rappresenta una delle produzioni più suggestive e disturbanti degli ultimi anni. Tratta dal manga omonimo di Haro Aso, la serie Netflix diretta da Shinsuke Satō è molto più di un survival game futuristico: è un’esplorazione metafisica della coscienza, della realtà e dell'identità. In questo senso, accostarla all’universo di Howard Phillips Lovecraft può sembrare ardito a prima vista, ma un’analisi più profonda rivela affinità strutturali, simboliche e tematiche.



Mondo altro e orrore cosmico
Lovecraft costruisce i suoi racconti intorno a un concetto di realtà alterata, dove il nostro universo è solo una delle tante possibili dimensioni, minacciato da forze ignote e indifferenti alla vita umana. Questo stesso principio è alla base di Alice in Borderland.
La Tokyo alternativa in cui si ritrovano Arisu e i suoi compagni è un mondo liminale, separato dalla realtà ordinaria e governato da leggi arcane (i "giochi") che ricordano l’insensatezza dell’universo lovecraftiano. Come nei Miti di Cthulhu, qui non c'è un Dio salvifico, ma un meccanismo impersonale e crudele.
Il Borderland è una metafora dell’ignoto lovecraftiano: un luogo che non si spiega, non si comprende pienamente e che genera una forma di terrore esistenziale. In entrambi i mondi, la mente umana è destinata a collassare di fronte all’inconoscibile.

I personaggi: archetipi del confronto con l’abisso

Arisu (Ryohei Arisu): è l’equivalente moderno dell’antieroe lovecraftiano. Intellettuale, introverso, incline all’alienazione, viene trascinato in un mondo che non capisce e che lo obbliga a mettere in discussione la propria identità. Come i protagonisti di The Call of Cthulhu o The Shadow Out of Time, Arisu scopre che la realtà è fragile e che la ragione è un’arma spuntata di fronte all’inconcepibile.

Usagi: rappresenta la resilienza emotiva e fisica, ma anch’essa è marcata dal lutto e dall'isolamento. Come molte figure femminili assenti o mitologiche nell’opera di Lovecraft (pensiamo a The Thing on the Doorstep), Usagi funge da specchio e ancora morale per Arisu, ma è comunque segnata dall’indifferenza dell’universo.

Chishiya: figura quasi mefistofelica, intelligente e manipolatore, incarna la fascinazione lovecraftiana per il sapere proibito. Ricorda certi cultisti o studiosi impazziti nei racconti di Lovecraft, desiderosi di decifrare l’indecifrabile (come in The Dunwich Horror o The Whisperer in Darkness), rischiando la perdizione mentale.

Mira (la Regina di Cuori): in modo inquietante, Mira è la personificazione del “Grande Antagonista” lovecraftiano: non è malvagia nel senso umano del termine, ma rappresenta il caos, l’illusione, la follia come verità. Il suo monologo sul concetto di realtà richiama il delirio cosmico di Nyarlathotep o di Azathoth: l’universo è un gioco senza scopo, e la coscienza umana ne è solo una pedina.

Struttura narrativa e simbolismo esoterico

L’intera struttura di Alice in Borderland può essere letta come un viaggio iniziatico, un cammino attraverso la sofferenza e la consapevolezza, che ricalca la discesa negli abissi interiori dei protagonisti lovecraftiani.
L’uso dei semi delle carte (fiori, picche, cuori, quadri) richiama un ordine simbolico esoterico, dove ogni seme rappresenta un diverso tipo di sfida — di corpo, mente, spirito e strategia. In Lovecraft, la divisione tra mente e corpo è una tematica costante: le entità aliene spesso possiedono, deformano o distruggono la mente dell’uomo, come in The Thing on the Doorstep.

Inoltre, la morte non è mai definitiva, ma transitoria o illusoria, come negli stati di sogno (un tema comune a entrambi gli autori, basti pensare al Ciclo Onirico lovecraftiano con The Dream-Quest of Unknown Kadath). Il Borderland può quindi essere interpretato come una zona intermedia tra vita, morte e sogno, un “interregno” spirituale. Poi così lontana da Randolph Carter?



Il nichilismo come estetica e filosofia

Lovecraft è celebre per il suo cosmicismo: l’idea che l’uomo non sia altro che un minuscolo elemento in un universo indifferente, governato da forze incomprensibili. Alice in Borderland sposa perfettamente  questa visione: i personaggi non sono premiati per la loro bontà o puniti per il male, ma si trovano in balia di regole arbitrarie.

Il nichilismo che ne emerge è profondamente lovecraftiano. Non c’è una morale universale; il sistema non è giusto, e la salvezza — quando arriva — è solo una possibilità, non una certezza. Come in The Colour Out of Space, anche qui l’unico vero antagonista è l’insensatezza del cosmo.


 L'influenza possibile di Lovecraft

Sebbene Haro Aso non citi direttamente Lovecraft come ispirazione, l’estetica dell’orrore psicologico e metafisico, la costruzione di un mondo alternativo dominato da forze imperscrutabili e l’insistenza sul trauma mentale richiamano chiaramente l’influenza lovecraftiana, magari mediata da autori giapponesi come Junji Ito o registi come Kiyoshi Kurosawa, anch’essi profondamente influenzati da Lovecraft.

L’ibridazione tra manga, filosofia orientale e horror occidentale produce un unicum mediale che riecheggia i temi classici del weird fiction, pur rielaborandoli in chiave moderna e psicologica.

Possiamo affermare che Alice in Borderland non sia soltanto un thriller distopico o un gioco mortale: è una riflessione sull’identità, sulla percezione della realtà e sul senso della vita di fronte all’inconoscibile. In questo senso, può essere letto come un discendente spirituale di Lovecraft, trasportato nel linguaggio visivo, ritmico e narrativo del XXI secolo.

Le affinità tra le due opere — sebbene indirette — rivelano una profonda consonanza filosofica ed esoterica: l’orrore non nasce dal sangue o dalla violenza, ma dal confronto con ciò che la mente umana non può e non deve comprendere.



Concludendo

La narrativa di Alice in Borderland e quella lovecraftiana condividono una galleria di personaggi archetipici: l’intellettuale perduto, il manipolatore mascherato, l’outsider resiliente, l’esperto del proibito, l’innocente tragico. Le due opere, pur in contesti diversi (Tokyo distopica vs New England arcano), parlano la stessa lingua metafisica: quella della fragilità umana in un universo incomprensibile.

Facciamo quindi un gioco, visto che si parla di giochi!



Arisu -  Randolph Carter (The Dream-Quest of Unknown Kadath, The Statement of Randolph Carter)

Entrambi sono protagonisti intellettuali e riflessivi, con una sensibilità acuta nei confronti della realtà e una propensione all’introspezione.

Arisu come Carter affronta un viaggio iniziatico in una realtà alternativa che sfida le leggi della logica e del tempo.

Carter e Arisu condividono un legame profondo con il mondo del sogno, dell’inconscio e della percezione soggettiva della realtà. Il Borderland può essere visto come un equivalente moderno del "Mondo dei Sogni" di Lovecraft.

Curiosamente:

Entrambi si trovano coinvolti in una ricerca esistenziale: Carter cerca una città perduta e un senso nell’universo, Arisu cerca di dare significato alla propria sopravvivenza in un mondo assurdo.

Sono sopravvissuti alla disgregazione mentale, sebbene segnati profondamente.


 Usagi – Lavinia Whateley (The Dunwich Horror)

Entrambe sono figlie segnate da un’eredità familiare ambigua o dolorosa. Lavinia è madre del semidio Wilbur, vittima del culto e delle forze cosmiche. Usagi è figlia di un alpinista morto in circostanze traumatiche, simbolo di un’eredità spirituale infranta.

Vivono in un mondo maschile e ostile, dove sopravvivere richiede forza e autonomia.

Curiosamente:

Entrambe le figure sono solitarie, estranee al contesto sociale, eppure mantengono una connessione profonda con il lato umano dell’esperienza, fungendo da ancore morali.


Chishiya – Herbert West (Herbert West – Reanimator)

Entrambi incarnano l’archetipo dello scienziato freddo e distaccato, interessato solo alla verità, qualunque sia il costo umano.

Sono affascinati dal controllo e dalla manipolazione della vita e della morte. West cerca di dominare la morte, Chishiya cerca di vincere i giochi come esercizio di potere razionale.

Curiosità :

Entrambi giocano con conoscenze proibite e mostrano una spietata efficienza intellettuale, escludendo quasi completamente l’empatia.

Ma sotto la superficie, entrambi rivelano una frattura interiore: West diventa vittima della propria ossessione, e Chishiya — nelle stagioni successive — mostra segni di rimorso e umanità.


Mira – Nyarlathotep

Mira, come Nyarlathotep, è una figura camaleontica e manipolatrice, ma dotata di un’intelligenza superiore e sadica.

Entrambi assumono forme umane per ingannare, corrompere o condurre alla follia. Mira travolge Arisu non con la violenza, ma con la logica delirante, proprio come Nyarlathotep seduce con il sapere.

Curiosità:

Sono figure liminari tra divinità e umanità, che incarnano il caos e la finzione del significato.

In Lovecraft, Nyarlathotep è l’unico dio che interagisce direttamente con gli uomini; Mira è l’unico “boss” che offre un dialogo filosofico anziché una pura sfida fisica.


Kuina – Walter Gilman (The Dreams in the Witch House)

Entrambi sono trasformati attraverso il dolore e la conoscenza. Walter viene trascinato in un incubo multidimensionale da cui non riesce a fuggire; Kuina si emancipa da una condizione di marginalizzazione sociale (come donna transgender) affrontando il dolore e la lotta nel Borderland.

Entrambi viaggiano tra diversi stati dell’essere, attraversando un confine sottile tra corpo e coscienza.

Curiosità:

Sono simboli del mutamento continuo, ma anche della resistenza in condizioni estreme.

Il loro destino è incerto, sospeso tra il successo e la dissoluzione psichica.


Aguni – Charles Dexter Ward

Aguni, segnato dal trauma della perdita e dallo sprofondamento nella violenza, ricorda molto Ward, il giovane stregone che risveglia i propri antenati e perde sé stesso nel processo.

Entrambi subiscono una degenerazione progressiva, che li porta sull’orlo della pazzia e dell’autodistruzione.

Curiosità:

Sono vittime del passato, incapaci di separarsi dai ricordi e dalle colpe.

Entrambi si muovono in un ambiente ostile dominato da forze più grandi, spesso manipolati da altri (per Ward è Joseph Curwen, per Aguni è l’ideologia imposta dal leader).