Lovecraft & Kiseiju: The Gray
Continuiamo su questa linea mediatica , ma ci lanceremo presto in nuovo approfondimenti su H. P. Lovecraft non temete, prendiamoci solo qualche altro attimo per esplorare un'altra serie tv decisamente influenzata da Lovecraft. In passato abbiamo analizzato Aquaman, Il Trono di Spade, Alice in Borderland e perfino Harry Potter, scoprendo collegamenti e coincidenze impensabili: adesso è il momento di una serie davvero particolare che omaggia il Sognatore di Providence.
Kiseiju: The Grey, serie coreana tratta dal manga giapponese Kiseiju di Hitoshi Iwaaki, è un’opera che, pur nel suo contesto di fantascienza horror contemporanea, affonda le radici nella tradizione dell'orrore cosmico di Lovecraft. Anche se l’opera non fa espliciti riferimenti al maestro di Providence, le influenze sono evidenti e profonde, tanto nei suoi presupposti narrativi quanto nelle atmosfere e nei dilemmi esistenziali che esplora.
Nel cuore della narrativa di Lovecraft vi è la paura dell’ignoto, spesso rappresentata da entità aliene così estranee alla comprensione umana da risultare inconcepibili. In Kiseiju, i parassiti caduti sulla Terra sono esseri non identificabili, privi di origine nota, dotati di poteri sovrumani e capaci di infiltrarsi nel corpo umano, assumendone l’aspetto e controllandolo.
Come i Grandi Antichi lovecraftiani (pensiamo a Nyarlathotep, Azathoth o Cthulhu), questi esseri sono indifferenti all’umanità. Non sono malvagi in senso morale, semplicemente funzionano secondo logiche aliene, inaccessibili e inimmaginabili. Il mondo non viene invaso da mostri che odiano l’uomo, ma da forme di vita superiori e incomprensibili che agiscono per istinto o sopravvivenza, ignorando il concetto umano di empatia o compassione.
Questa assenza di spiegazioni, questa reticenza a fornire una mitologia chiara, rafforza il senso di angoscia metafisica: il cosmo non ci deve nulla, e potrebbe annientarci senza accorgersene.
L’identità corrotta: ibridazione, contaminazione e crisi dell’io
Un altro elemento centrale sia in Lovecraft che in Kiseiju è il tema dell’identità contaminata. I parassiti si fondono con l’organismo umano, consumandolo o convivendo con esso. Questo rispecchia il motivo lovecraftiano della fusione tra umano e alieno, spesso declinato in forma di aberrazione: basti pensare a La maschera di Innsmouth, dove i protagonisti scoprono d’essere discendenti di creature marine, o al racconto Colui che sussurrava nelle tenebre, dove si descrivono esseri in grado di trapiantare cervelli umani in contenitori meccanici.
In Kiseiju i protagonisti devono convivere con queste entità, dando vita a una relazione simbiotica, ambigua, spesso psicologicamente traumatizzante. È l’eco della perdita del confine tra l’umano e l’Altro, un tema che Lovecraft considerava la più profonda delle paure: non sapere più chi si è, non potersi più distinguere dall’abisso.
Lovecraft ha spesso suggerito che la lotta umana contro l’ignoto è futile. Le sue storie raramente hanno un lieto fine: i protagonisti impazziscono, vengono distrutti o scoprono verità che avrebbero preferito ignorare.
Nella serie, anche l’organizzazione che combatte i parassiti, la cosiddetta “Team Grey”, appare inadeguata, costantemente in svantaggio. La tecnologia, le armi, la scienza: tutto ciò che l’umanità ha costruito sembra impotente contro la forza primordiale e fredda di questi invasori. Anche quando si ottiene una “vittoria”, essa è parziale, costosa e lascia aperto un abisso di incertezze.
Il mondo non torna mai alla normalità, come in Lovecraft: resta trasformato, più oscuro, contaminato dalla consapevolezza che l’universo è vasto, ostile e privo di senso.
I parassiti come archetipi dei Grandi Antichi
Se finora abbiamo analizzato la corrispondenza tematica tra la serie e Lovecraft, nella seconda parte ci concentreremo sugli aspetti visivi, biologici e simbolici dei parassiti, interpretandoli alla luce della mitopoiesi lovecraftiana. La loro rappresentazione fisica, le loro abilità e la loro logica sembrano emergere direttamente dall’iconografia e dai concetti del pantheon lovecraftiano.
I parassiti di questa serie coreana possiedono un corpo fluido e mutabile. Le loro teste possono trasformarsi in lame, tentacoli, occhi multipli o bocche mostruose, tutte caratteristiche presenti nei racconti lovecraftiani.
Lovecraft descrive spesso i suoi mostri come forme in continuo cambiamento: “ammassi di carne gelatinosa”, “occhi che emergono dove non dovrebbero esserci”, “arti tentacolari che violano ogni logica anatomica”. Il richiamo più ovvio è a Shoggoth, l’organismo polimorfo che può assumere qualsiasi forma, oppure a Nyarlathotep, il “caos strisciante” che cambia aspetto e funzione.
In entrambi i casi, il corpo del mostro non ha un’identità definita: come i parassiti, è solo uno strumento per l’adattamento e la sopravvivenza, qualcosa che si trasforma per attaccare, difendersi o confondere. Questo rimanda all’idea lovecraftiana di un universo dove le leggi della biologia terrestre non hanno più validità.
Linguaggio e comunicazione: l’assenza dell’umano
Una caratteristica importante dei mostri lovecraftiani è l’incomunicabilità. Le loro voci sono descritte come suoni gutturali, sussurri impossibili da comprendere o onde psichiche che travolgono la mente. Il linguaggio è una barriera, e l’incontro con il mostro è spesso silenzioso e spaventoso proprio perché l’altro non parla la nostra lingua – né in senso letterale, né in senso concettuale.
In Kiseiju, i parassiti non comunicano con gli umani nel modo tradizionale. Alcuni sviluppano un linguaggio, ma molti operano in modo autonomo, impersonale, quasi meccanico. I più pericolosi non parlano affatto, si limitano ad agire. Questo silenzio glaciale li rende ancora più inquietanti: sono intelligenze superiori, ma disumane, non interessate a negoziare.
Il parallelo qui è forte con le entità come Azathoth, il dio cieco e idiota che pulsa al centro del cosmo, o con il Re in Giallo, la cui semplice visione o ascolto porta alla follia. I parassiti, come i mostri di Lovecraft, trasmettono un senso di minaccia proprio perché sono al di fuori della comunicazione e dell’etica.
Uno dei tratti fondamentali del mito di Cthulhu è che i Grandi Antichi non hanno una genesi chiara. Vengono da “oltre le stelle”, da altre dimensioni, o sono anteriori alla formazione dell’universo stesso. La loro esistenza è un mistero, e ogni tentativo di comprenderli conduce alla follia.
Allo stesso modo, i parassiti nella serie non hanno un’origine definita. Non si sa da dove vengano, né perché siano apparsi. Le teorie spaziano dall’extraterrestre al biologico, ma la serie rifiuta di fornire una risposta chiara, preferendo mantenere il senso di disorientamento e di meraviglia terrificante.
Questa scelta narrativa è perfettamente lovecraftiana: il mistero non è un difetto della trama, ma il cuore dell’orrore. L’ignoto non è qualcosa da spiegare, ma da esperire, e la sua forza sta proprio nell’assenza di spiegazione.
Kiseiju è un perfetto esempio di come l’influenza di H. P. Lovecraft sia ancora viva e vegeta nell’horror moderno. Al di là dell’estetica, la serie ne eredita il cuore filosofico: l’orrore non sta nella morte, ma nell’insignificanza. Non temiamo i parassiti perché uccidono, ma perché ci mostrano quanto siamo fragili, contingenti, marginali in un cosmo indifferente.
Lovecraft ha sempre detto che “la più antica e potente emozione umana è la paura, e la più antica e potente forma di paura è la paura dell’ignoto.” Kiseiju: The Grey prende questa idea e la trasforma in un racconto visivo, dinamico e moderno, ma profondamente fedele allo spirito dell’orrore cosmico.
Nel tessuto narrativo che intreccia la serie tv e il mito di Cthulhu di H.P. Lovecraft, si disvela un affascinante confronto che trascende le semplici suggestioni estetiche. Entrambe le opere si addentrano nei meandri della paura cosmica, nella disintegrazione dell’identità umana e nell’incomprensibilità dell’Altro, pur muovendosi in contesti e linguaggi differenti: uno visivamente urbano e moderno, l’altro letterario e metafisico. Eppure, i punti di contatto sono molteplici, profondi e rivelatori.
I Mostri: Parassiti e Divinità Cosmogoniche
Qui gli esseri alieni — i parassiti — si insinuano silenziosi nei corpi umani, prendendo possesso delle loro menti, ridefinendone l’identità e cancellando i confini tra l’umano e l’inumano. Questi esseri, privi di una reale coscienza morale, agiscono per istinto o sopravvivenza, simili a predatori. La loro natura proteiforme — teste che si aprono in bocche dentate, arti che si allungano in lame — evoca un immaginario mostruoso fortemente affine a quello lovecraftiano.
Nel mito di Cthulhu, i Grandi Antichi — tra cui Cthulhu stesso, Yog-Sothoth, Nyarlathotep — incarnano il concetto di entità cosmiche infinitamente superiori, la cui semplice esistenza è incompatibile con la comprensione umana. Anche qui, i mostri sono alieni in senso radicale: non solo provenienti da altri mondi, ma da altre dimensioni del reale, da epoche anteriori all’umanità stessa. Non sono malvagi in senso umano, perché non riconoscono l’esistenza della morale come la intendiamo. Come i parassiti, esistono e agiscono secondo logiche proprie, indifferenti all’individuo.
La coincidenza narrativa è netta: sia nei parassiti che nei Grandi Antichi, vi è una negazione dell’antropocentrismo. Entrambe le creature, pur su piani ontologici differenti, destabilizzano l’idea dell’uomo al centro dell’universo. I parassiti, seppur fisicamente assimilabili, sono concettualmente affini agli emissari lovecraftiani: sono il riflesso dell’invasione dell’ignoto, della contaminazione che disgrega la coerenza della realtà ordinaria.
I Protagonisti: Umanità Spezzata
Nel cuore della serie, troviamo personaggi come Jeong Su-in e Kang-woo, coinvolti loro malgrado in una guerra biologica contro esseri che sfidano ogni logica. Su-in, in particolare, rappresenta una figura ambigua, ibridata da un parassita con cui condivide corpo e coscienza. La sua identità è frammentata, sospesa tra l’umano e l’alieno, tra empatia e istinto predatorio. In lei risiede una tensione tragica: la ricerca di un senso in un mondo improvvisamente invaso dall’inconoscibile.
Allo stesso modo, nei racconti di Lovecraft i protagonisti sono spesso studiosi, scienziati, esploratori dell’occulto che si spingono troppo oltre i limiti della conoscenza umana. Uomini come il narratore de Il richiamo di Cthulhu, o il protagonista de L’orrore di Dunwich, sono figure che, venute a contatto con il vero volto della realtà cosmica, cadono inesorabilmente nella follia o nella disperazione. In entrambi i casi, la scoperta non porta potere, ma rovina.
Su-in, come Randolph Carter, è testimone di un mondo altro che la spinge sull’orlo della disumanizzazione. Ma se nei miti lovecraftiani l’esito è spesso la dissoluzione dell’io, nella serie coreana rimane invece uno spiraglio di resistenza, una volontà di preservare la propria umanità anche nella coabitazione con l’ignoto. Eppure, il dolore dell’ibridazione, la solitudine dell’unicità e il sospetto della società sono comuni a entrambi.
La Filosofia del Terrore
Infine, ciò che più avvicina questa serie tv al corpus lovecraftiano non è l’aspetto dei mostri, ma la concezione del terrore. In entrambi i mondi, il vero orrore non è la morte, ma l’alterità irriducibile. L’idea che l’universo non solo non ruoti attorno all’uomo, ma che ne ignori completamente l’esistenza. In questo senso, ogni creatura ostile diventa specchio del nichilismo cosmico: gli dèi antichi e i parassiti sono ugualmente manifestazioni del caos che sovrasta ogni logica e ordine.
La differenza principale è culturale: Lovecraft scrive in un’epoca e in un contesto di crisi dell’Illuminismo, rispondendo alla frattura tra scienza e religione con un abisso d’indifferenza cosmica. Kiseiju: The Grey, al contrario, si muove in un panorama postmoderno, dove l’orrore nasce dal confronto con la biotecnologia, l’identità digitale, la dissoluzione della privacy, e la fragilità della coscienza collettiva. Ma il nucleo filosofico resta sorprendentemente simile.
In definitiva, la serie tv non è una trasposizione del mito di Cthulhu, ma ne è un’eco potentemente contemporanea. I mostri che camminano tra gli uomini, le identità che si sgretolano sotto il peso dell’invasione aliena, le menti che vacillano davanti a ciò che non può essere compreso: tutto questo costituisce una linea narrativa comune. Un ponte tra la Seoul invasa dai parassiti e le desolate lande della Nuova Inghilterra immaginate da Lovecraft. Entrambe sono abitate da una verità impensabile: l’umanità è solo una parentesi fragile, nel vasto e terrificante mistero del cosmo.
I testi di H.P. Lovecraft, pur dichiaratamente laici e spesso antireligiosi nel tono, pullulano di simbolismi religiosi e mitologici reinterpretati in chiave completamente nuova, in un contesto in cui il divino tradizionale viene sostituito da un’idea di "cosmico" più terrificante che sacro. La sua opera è attraversata da un costante dialogo (spesso polemico o corrosivo) con il linguaggio e l'immaginario religioso, e molti degli stessi simboli e strutture si ritrovano, in chiave moderna e tecnologica, anche in Kiseiju: The Grey.
Il culto dell’ignoto: tra religione e blasfemia
Nei racconti di Lovecraft, soprattutto in Il richiamo di Cthulhu, l’elemento religioso è presente in forma di culto oscuro, tribale, pagano, ma al tempo stesso incredibilmente strutturato. Esistono preghiere, cerimonie, invocazioni e persino “sacerdoti” di Cthulhu, come il folle Castro o i degenerati abitanti di Innsmouth. Ma la differenza cruciale è che queste divinità non sono benevole, non ascoltano preghiere, e non offrono redenzione: sono esseri alieni, spesso dormienti, il cui risveglio causerebbe la distruzione totale della realtà umana.
In Kiseiju: The Grey, questa tematica non viene affrontata frontalmente con simboli religiosi espliciti, ma ne assorbe il senso più profondo. I parassiti non sono divinità, ma per come agiscono, potrebbero essere visti come “angeli rovesciati” o “dei biologici”: scendono dal cielo (probabilmente attraverso qualche forma di pioggia o trasmissione atmosferica), alterano il corpo, possiedono l’individuo e instaurano un nuovo ordine del mondo. Il modo in cui Jeong Su-in vive la coabitazione con il parassita ricorda profondamente l’esperienza mistica, solo che al posto della voce divina c’è un’entità amorfa, razionale, inumana, che la sfida dall’interno.
Il tema dell’incarnazione, tanto centrale nelle religioni monoteiste (Dio che si fa carne), qui è invertito: è l’ignoto che si incarna, è l’invisibile che si fa carne in modo mostruoso. Il parassita è un messia nero, un annuncio della fine più che della salvezza.
Il simbolismo del corpo: possessione e trasformazione
Nel cristianesimo e in molte altre religioni, il corpo è tempio dello spirito, sede della purezza, della colpa, della redenzione. In Lovecraft, il corpo è carne vulnerabile, soggetta a mutazioni, invasioni, decadenza. In racconti come La cosa sulla soglia o Il caso di Charles Dexter Ward, il corpo è un veicolo che può essere posseduto, svuotato, manipolato da forze aliene. La carne non è più sacra, ma profanata.
In Kiseiju: The Grey, il corpo è l’arena della lotta ontologica. Il parassita entra attraverso la testa, modifica l’anatomia, crea mostruose protuberanze, lame organiche, estensioni oculari. Ma anche qui, come in Lovecraft, il corpo mutato è il segno visibile dell’invasione dell’invisibile. Il corpo perde l’integrità, si apre a una forma di possesso — non demoniaco in senso religioso, ma comunque radicalmente “altro”.
Anche nel Vangelo, quando Cristo scaccia i demoni, essi entrano nei corpi degli animali o degli uomini. In Kiseiju: The Grey, non c’è nessun Cristo: il “demone” resta nel corpo, e l’unico modo per sopravvivere è negoziare una simbiosi, creare un compromesso con ciò che ci invade. È un simbolismo potentissimo che capovolge quello tradizionale: non la purificazione, ma l’adattamento all’impurità diventa la nuova forma di salvezza.
La blasfemia del sapere proibito
Nelle religioni abramitiche, la conoscenza è spesso ambivalente. Il frutto dell’albero del bene e del male, ad esempio, è desiderato ma proibito. Anche nella tradizione gnostica, l’illuminazione può portare alla salvezza, ma anche alla follia o alla dannazione.
In Lovecraft, questo tema è estremizzato: la conoscenza non è mai una benedizione, è sempre una maledizione. I libri come il Necronomicon, le pergamene sumeriche, le formule occulte, sono strumenti che non elevano l’uomo ma lo espongono alla verità insostenibile: che l’universo non ha uno scopo, e che l’umanità è solo un’infinitesima eccezione destinata a sparire.
In Kiseiju: The Grey, questa dimensione gnostica si riflette nell’esperienza mentale di Jeong Su-in e di coloro che cercano di comprendere la biologia dei parassiti. Chi studia queste creature ne resta segnato, moralmente e psicologicamente. Come in Lovecraft, più si cerca di sapere, più si è costretti a confrontarsi con l’insensatezza del tutto. E l’idea di una scienza che possa spiegare tutto viene minata alla radice: ci sono cose che sfuggono anche alla genetica, alla neurobiologia, alla logica.
In definitiva, pur non essendo esplicitamente religioso, l’universo di Lovecraft è impregnato di un’estetica del sacro rovesciato. Le sue divinità sono idolatriche, i suoi testi sacri sono grimori folli, i suoi miracoli sono orrori. Allo stesso modo, Kiseiju: The Grey si muove in un universo spiritualmente dissacrato, ma non privo di simbologie profonde: invasione, trasformazione, resistenza, coesistenza. Sono temi che toccano corde religiose inconsce, anche se espressi in un linguaggio moderno e biologico.
Entrambe le opere si chiedono cosa succede quando l’uomo incontra qualcosa che lo supera infinitamente, non come salvezza ma come dissoluzione. E la risposta è sempre la stessa: ci si può solo adattare o impazzire. O, come direbbe Lovecraft, “l’unica misericordia dell’universo è l’incapacità dell’uomo di mettere in relazione tutto ciò che ha appreso”.
Il profeta della verità indicibile
In Il Richiamo di Cthulhu, il protagonista è uno studioso, un razionalista: raccoglie appunti, documenti, testimonianze. Non ha un’esperienza mistica in senso stretto, ma alla fine del racconto arriva a una forma di rivelazione terrificante. Il sapere che scopre (che l’umanità è circondata da culti oscuri e che una divinità cosmica dorme sotto il mare) non lo salva, ma lo condanna a vivere con la consapevolezza dell’insignificanza umana. È, in sostanza, un profeta involontario, un Giovanni Battista del Nulla.
Allo stesso modo, in Kiseiju: The Grey, Jeong Su-in, contaminata da un parassita, vive una rivelazione interna. Il parassita non è solo un nemico: è una voce, una coscienza altra. In lei si fonde la carne con lo straniero, e attraverso questa coesistenza forzata viene a contatto con un nuovo ordine biologico ed etico. Lei non cerca la verità, ma la verità la penetra. Come nel mito, l’invasione è un’epifania rovesciata, che però produce un’identità ibrida, una nuova forma di umanità.
Entrambi i protagonisti, dunque, testimoniano qualcosa che gli altri non vogliono vedere o credere. E in questo, sono figure archetipiche di una mitologia del nostro tempo: l’eretico che ha visto l’invisibile.
I testi sacri: grimori e codice genetico
Nel culto di Cthulhu esiste un libro proibito: il Necronomicon, una sorta di Bibbia blasfema che contiene formule, nomi, date, riti. È il testo fondante di un culto sparso nel tempo e nello spazio, frammentario, sotterraneo, come una religione nascosta. Chi lo legge viene trasformato, a livello mentale e spirituale: perde la ragione, o comprende troppo.
In Kiseiju: The Grey il ruolo del Necronomicon viene preso dal corpo stesso e dal suo codice genetico. Il parassita, fondendosi con il corpo umano, riscrive il “testo biologico” della persona. Ogni mutazione, ogni trasformazione fisica, è una “parola” nuova nel linguaggio dell’evoluzione. In un certo senso, il corpo diventa la scrittura sacra, la carne è la pagina su cui l’ignoto scrive la sua volontà.
E come accade nei culti esoterici, solo pochi eletti possono sopravvivere a questo contatto. Jeong Su-in è una di loro. Come nel gnosticismo, in cui alcuni possiedono una scintilla divina capace di elevarli, nella serie solo alcuni riescono a mantenere la propria coscienza nel contatto con l’altro.
Il pantheon rovesciato
Il mito di Cthulhu ha un suo pantheon: Cthulhu, Yog-Sothoth, Azathoth, Shub-Niggurath. Non sono divinità in senso classico, ma forze primordiali, anteriori al tempo, che incarnano concetti come l’entropia, il caos, la proliferazione vitale mostruosa, la follia creatrice. Sono modelli di un cosmo indifferente, senza teleologia, senza finalità.
In Kiseiju: The Grey, non esiste un pantheon vero e proprio, ma i parassiti formano un’aristocrazia biologica: sono parte di un ordine superiore, quasi gerarchico, dotati di abilità diverse, volontà autonome, eppure connessi da un’origine comune. I leader dei parassiti, o quelli che tentano di creare un’organizzazione, agiscono come sacerdoti o arcangeli in rivolta. L’organizzazione “The Grey” stessa potrebbe essere vista come una chiesa biologica che cerca di mediare, contenere o addirittura perpetuare la presenza dell’alterità.
C’è quindi una nuova teologia del corpo e dell’invasione, in cui il parassita è simultaneamente Dio, Diavolo, e incarnazione della selezione naturale portata al limite. Non vi è un Cthulhu addormentato nel fondo dell’oceano, ma una natura risvegliata che si è fatta coscienza mutante.
Culto, paura, e trasformazione
Il culto in Lovecraft è clandestino, tribale, ereditato da antiche civiltà decadute. È formato da emarginati, visionari, folli — tutti accomunati da una fede profonda in qualcosa di terrificante. Nella serie tv, il culto è implicito: la società inizia ad accettare la convivenza con l’altro, oppure a cercarne la distruzione sistematica. Ma in entrambi i casi, l’umanità non resta immutata: il contatto con l’alterità cambia tutto, come accade in una conversione religiosa.
Il vero culto, in fondo, non è quello esplicito: è l’accettazione della nuova realtà, la metabolizzazione del fatto che il mondo è ormai governato da forze più grandi, più fredde, più spietate. Questo vale sia per chi serve Cthulhu sia per chi, in Kiseiju: The Grey, cerca un accordo tra la biologia e la coscienza. È un culto senza dogmi, ma non senza conseguenze. Un culto in cui credere equivale a mutare.
Ecco che quindi Il Richiamo di Cthulhu e Kiseiju: The Grey non fondano religioni tradizionali. Ma propongono miti fondativi per un’epoca in cui l’umano è già in fase di superamento. L’una, attraverso il terrore cosmico, suggerisce l’irrilevanza della nostra specie. L’altra, attraverso l’ibridazione e la simbiosi, suggerisce una via alternativa: trasformarsi per sopravvivere.
In entrambi i casi, non ci sarà un ritorno all’ordine. La fede in Dio è sostituita dalla consapevolezza del Caos. E il nuovo “sacro” non si manifesta attraverso miracoli, ma attraverso la carne che si apre, la coscienza che si sdoppia, il linguaggio che si inceppa. È una religione dell’entropia, dell’adattamento, del corpo come tempio dell’ignoto.