giovedì 25 settembre 2025

 

Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft: l’eco dell’orrore cosmico

 

 


 

Ci sono incontri che non avvengono mai, ma che sembrano inevitabili. Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft appartengono a mondi lontanissimi: il primo, figlio della working class di Birmingham, diventato la voce più riconoscibile e controversa dell’heavy metal; il secondo, Sognatore di Providence, perché solitario non era assolutamente, artefice di un immaginario letterario che ha rivoluzionato la narrativa weird horror.

Eppure, quando si ascoltano i primi album dei Black Sabbath, di cui Ozzy in origine era la voce, e si leggono i racconti lovecraftiani, appare chiaro che i loro testi condividano lo stesso oscuro respiro: l’angoscia dell’ignoto, la fascinazione per il sogno, la paura del cosmo e l’orrore indicibile, che non si può descrivere.

La connessione più diretta si trova nel brano “Behind the Wall of Sleep”, contenuto nell’album d’esordio dei Black Sabbath (1970), il cui titolo rimanda al racconto lovecraftiano Beyond the Wall of Sleep (1919). Ma le analogie non si fermano qui. Attraverso atmosfere, testi e visioni, Ozzy e Lovecraft hanno costruito due linguaggi paralleli, capaci di dare voce a una stessa intuizione: l’uomo è fragile e insignificante di fronte alle forze oscure dell’universo.

 

Lovecraft e il terrore cosmico

Per comprendere le affinità, occorre ricordare i tratti fondamentali dell’estetica lovecraftiana.

Lovecraft definiva la sua narrativa come “weird fiction”, una letteratura del perturbante, che si nutriva della paura dell’ignoto più che dell’orrore esplicito. In un passaggio celebre, il padre di Cthulhu scrive:

“La più antica e potente emozione umana è la paura, e la più antica e potente forma di paura è la paura dell’ignoto.” (Supernatural Horror in Literature, 1927)

Nei suoi racconti, il terrore non nasce dalla presenza di un mostro visibile, ma dall’idea che oltre i confini della percezione si celino forze cosmiche incomprensibili. Il cosiddetto cosmicismo è la visione filosofica che sottende la sua opera: l’universo è vasto, indifferente e ostile, e l’essere umano occupa un posto insignificante.

Questo sentimento pervade racconti come “Il Richiamo di Cthulhu” (1926), “L’Ombra su Innsmouth” (1931) o il romanzo “Alle Montagne della Follia” (1931). Non solo: i sogni giocano un ruolo essenziale nella poetica lovecraftiana, tanto da dar vita a un vero e proprio “Ciclo Onirico”, dove mondi paralleli si rivelano attraverso stati di coscienza alterati.

 


I Black Sabbath e la nascita del metal oscuro

Quando i Black Sabbath debuttarono con l’album omonimo nel 1970, il mondo del rock era ancora dominato dalla psichedelia e dal blues rock. Tony Iommi, Geezer Butler, Bill Ward e Ozzy Osbourne cambiarono le regole e trascinarono nella musica un’oscurità inedita.

Il brano d’apertura, “Black Sabbath”, con il suo riff tritonico e i tuoni in sottofondo, evocava immediatamente un’atmosfera di terrore. Ozzy cantava:

“What is this that stands before me?

Figure in black which points at me...”

Non c’erano più colori psichedelici o inni alla pace, ma visioni di presenze oscure, demoniache, oniriche. Lo stesso Geezer Butler ricordava:

“La gente andava al cinema a vedere film horror. Noi pensammo: perché non creare musica che trasmetta le stesse sensazioni?” (intervista a Rolling Stone, 2017).

Il linguaggio musicale dei Sabbath era dunque già vicino a quello di Lovecraft: entrambi puntavano a evocare un orrore indefinito, a lasciare immaginare più che a descrivere.

 


Behind the Wall of Sleep – il varco lovecraftiano

Nella follia di Ozzy riecheggia quella degli sfortunati protagonisti dei racconti di H. P. Lovecraft, eppure il collegamento più concreto tra Ozzy e Lovecraft si trova in “Behind the Wall of Sleep”, secondo brano del primo album dei Sabbath.

Il racconto lovecraftiano

In “Beyond the Wall of Sleep” (1919), Lovecraft narra la vicenda di un internato in un ospedale psichiatrico che, durante le ore di sonno, sembra trasformarsi in un essere luminoso, proveniente da un’altra dimensione. Il narratore, grazie a una macchina telepatica, entra in contatto con questo spirito e scopre un universo vastissimo, popolato da entità cosmiche. Il racconto ruota intorno a due elementi centrali: il sogno come portale-soglia verso altre realtà, e la rivelazione che la coscienza umana è solo un riflesso di energie cosmiche incomprensibili.

 

Il brano dei Black Sabbath

Il testo della canzone omonima scritto da Geezer Butler e cantata da Ozzy, recita:

“Visions cupped within a flower

Deadly petals with strange power

Faces hidden in an endless maze

With the mind they travel miles...”

Non trovo un parallelo diretto con la trama del racconto. La canzone sembra piuttosto parlare di droghe e stati di coscienza alterati, descrivendo un viaggio mentale. Tuttavia, l’eco lovecraftiano resta evidente nel titolo, e nella suggestione che la mente possa viaggiare “oltre” la realtà percepibile.

Molti studiosi della cultura metal hanno sottolineato come “Behind the Wall of Sleep” costituisca un ponte simbolico tra la letteratura di Lovecraft e la musica heavy metal. Non un adattamento fedele, ma un omaggio estetico che aprì la strada a generazioni di musicisti che avrebbero saccheggiato l’immaginario lovecraftiano con maggiore consapevolezza (Metallica, Electric Wizard, Cathedral, ecc.).

 

Al di là di questa canzone, dal titolo evidentemente lovecraftiano, i parallelismi tra Ozzy/Lovecraft sono numerosi. Se si analizza, infatti, il tema il terrore dell’ignoto, a tutti risulta evidente che Lovecraft lo teorizzava nelle sue opere mentre Ozzy lo urlava dal palco. Canzoni come Black Sabbath o Children of the Grave evocano presenze oscure e incontrollabili.

Riguardo il tema dell’alienazione cosmica troviamo in Planet Caravan e Into the Void, l’uomo che vaga nello spazio infinito e l’idea che l’universo sia troppo vasto per essere compreso è tipicamente lovecraftiana.

Che dire poi del tema onirico e delle visioni? Lovecraft ambientava interi cicli narrativi nei sogni. Ozzy cantava esperienze psichedeliche e oniriche, frutto di droghe e visioni: due vie diverse per accedere allo stesso “altrove”.

E risulta immediatamente che la follia come destino, tema principale di molti racconti di Lovecraft, ove i protagonisti spesso impazziscono di fronte alla verità cosmica ricordi un po’ proprio la vita di Ozzy. Vieppiù, i Sabbath, con testi come Paranoid non hanno fatto altro che riflettere la fragilità mentale e l’ossessione. Per non parlare di Patient n. 9 di Ozzy Osbourne.

 

Lovecraft nel metal dopo Ozzy

Il varco aperto dai Sabbath con Behind the Wall of Sleep è stato poi attraversato da molte altre band:

Metallica con The Call of Ktulu (1984) e The Thing That Should Not Be (1986);

Electric Wizard, intero filone doom con brani come Dunwich;

Fields of the Nephilim, con atmosfere lovecraftiane nei testi e nei titoli.

Ozzy non proseguì su quella linea in modo sistematico, ma la sua voce resta il primo grido metal che abbia evocato l’universo lovecraftiano.

Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft non hanno mai condiviso lo stesso linguaggio, né le stesse fonti. Il primo guardava al cinema horror e al vissuto psichedelico; il secondo, alla letteratura fantastica e alla filosofia dell’ignoto. Ma entrambi hanno cercato di dare forma allo stesso sentimento: l’orrore di fronte a un universo che ci supera.

Behind the Wall of Sleep rimane il simbolo di questo incontro mai avvenuto, un titolo che unisce la voce del metal e la penna del weird, e che dimostra come la cultura popolare e la letteratura possano incontrarsi nei corridoi oscuri della nostra immaginazione.