Ozzy Osbourne e H. P.
Lovecraft: l’eco dell’orrore cosmico
Ci sono incontri che non avvengono mai, ma che sembrano
inevitabili. Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft appartengono a mondi lontanissimi:
il primo, figlio della working class di Birmingham, diventato la voce più
riconoscibile e controversa dell’heavy metal; il secondo, Sognatore di
Providence, perché solitario non era assolutamente, artefice di un immaginario
letterario che ha rivoluzionato la narrativa weird horror.
Eppure, quando si ascoltano i primi album dei Black Sabbath, di
cui Ozzy in origine era la voce, e si leggono i racconti lovecraftiani, appare
chiaro che i loro testi condividano lo stesso oscuro respiro: l’angoscia
dell’ignoto, la fascinazione per il sogno, la paura del cosmo e l’orrore
indicibile, che non si può descrivere.
La connessione più diretta si trova nel brano “Behind the Wall
of Sleep”, contenuto nell’album d’esordio dei Black Sabbath (1970), il cui
titolo rimanda al racconto lovecraftiano Beyond the Wall of Sleep
(1919). Ma le analogie non si fermano qui. Attraverso atmosfere, testi e
visioni, Ozzy e Lovecraft hanno costruito due linguaggi paralleli, capaci di
dare voce a una stessa intuizione: l’uomo è fragile e insignificante di fronte
alle forze oscure dell’universo.
Lovecraft e il terrore cosmico
Per comprendere le affinità, occorre ricordare i tratti
fondamentali dell’estetica lovecraftiana.
Lovecraft definiva la sua narrativa come “weird fiction”, una
letteratura del perturbante, che si nutriva della paura dell’ignoto più che
dell’orrore esplicito. In un passaggio celebre, il padre di Cthulhu scrive:
“La più antica e potente emozione umana è la paura, e la più
antica e potente forma di paura è la paura dell’ignoto.” (Supernatural
Horror in Literature, 1927)
Nei suoi racconti, il terrore non nasce dalla presenza di un
mostro visibile, ma dall’idea che oltre i confini della percezione si celino
forze cosmiche incomprensibili. Il cosiddetto cosmicismo è la visione
filosofica che sottende la sua opera: l’universo è vasto, indifferente e
ostile, e l’essere umano occupa un posto insignificante.
Questo sentimento pervade racconti come “Il Richiamo di Cthulhu”
(1926), “L’Ombra su Innsmouth” (1931) o il romanzo “Alle Montagne della Follia”
(1931). Non solo: i sogni giocano un ruolo essenziale nella poetica
lovecraftiana, tanto da dar vita a un vero e proprio “Ciclo Onirico”, dove
mondi paralleli si rivelano attraverso stati di coscienza alterati.
I Black Sabbath e la
nascita del metal oscuro
Quando i Black Sabbath debuttarono con l’album
omonimo nel 1970, il mondo del rock era ancora dominato dalla psichedelia e dal
blues rock. Tony Iommi, Geezer Butler, Bill Ward e Ozzy Osbourne cambiarono le
regole e trascinarono nella musica un’oscurità inedita.
Il brano d’apertura, “Black Sabbath”, con il
suo riff tritonico e i tuoni in sottofondo, evocava immediatamente un’atmosfera
di terrore. Ozzy cantava:
“What is this that stands before me?
Figure in black which points at me...”
Non c’erano più colori psichedelici o inni
alla pace, ma visioni di presenze oscure, demoniache, oniriche. Lo stesso
Geezer Butler ricordava:
“La gente andava al
cinema a vedere film horror. Noi pensammo: perché non creare musica che
trasmetta le stesse sensazioni?” (intervista a Rolling Stone, 2017).
Il linguaggio musicale dei Sabbath era dunque
già vicino a quello di Lovecraft: entrambi puntavano a evocare un orrore
indefinito, a lasciare immaginare più che a descrivere.
Behind the Wall of Sleep
– il varco lovecraftiano
Nella follia di Ozzy riecheggia quella degli
sfortunati protagonisti dei racconti di H. P. Lovecraft, eppure il collegamento
più concreto tra Ozzy e Lovecraft si trova in “Behind the Wall of Sleep”,
secondo brano del primo album dei Sabbath.
Il racconto lovecraftiano
In “Beyond the Wall of Sleep” (1919),
Lovecraft narra la vicenda di un internato in un ospedale psichiatrico che,
durante le ore di sonno, sembra trasformarsi in un essere luminoso, proveniente
da un’altra dimensione. Il narratore, grazie a una macchina telepatica, entra
in contatto con questo spirito e scopre un universo vastissimo, popolato da
entità cosmiche. Il racconto ruota intorno a due elementi centrali: il sogno
come portale-soglia verso altre realtà, e la rivelazione che la coscienza umana
è solo un riflesso di energie cosmiche incomprensibili.
Il brano dei Black Sabbath
Il testo della canzone omonima scritto da
Geezer Butler e cantata da Ozzy, recita:
“Visions cupped within a
flower
Deadly petals with
strange power
Faces hidden in an
endless maze
With the mind they travel
miles...”
Non trovo un parallelo diretto con la trama
del racconto. La canzone sembra piuttosto parlare di droghe e stati di
coscienza alterati, descrivendo un viaggio mentale. Tuttavia, l’eco
lovecraftiano resta evidente nel titolo, e nella suggestione che la mente possa
viaggiare “oltre” la realtà percepibile.
Molti studiosi della cultura metal hanno
sottolineato come “Behind the Wall of Sleep” costituisca un ponte simbolico tra
la letteratura di Lovecraft e la musica heavy metal. Non un adattamento fedele,
ma un omaggio estetico che aprì la strada a generazioni di musicisti che
avrebbero saccheggiato l’immaginario lovecraftiano con maggiore consapevolezza
(Metallica, Electric Wizard, Cathedral, ecc.).
Al di là di questa canzone, dal titolo evidentemente
lovecraftiano, i parallelismi tra Ozzy/Lovecraft sono numerosi. Se si analizza,
infatti, il tema il terrore dell’ignoto, a tutti risulta evidente che Lovecraft
lo teorizzava nelle sue opere mentre Ozzy lo urlava dal palco. Canzoni come Black
Sabbath o Children of the Grave evocano presenze oscure e
incontrollabili.
Riguardo il tema dell’alienazione cosmica
troviamo in Planet Caravan e Into the Void, l’uomo che vaga nello
spazio infinito e l’idea che l’universo sia troppo vasto per essere compreso è
tipicamente lovecraftiana.
Che dire poi del tema onirico e delle visioni?
Lovecraft ambientava interi cicli narrativi nei sogni. Ozzy cantava esperienze
psichedeliche e oniriche, frutto di droghe e visioni: due vie diverse per
accedere allo stesso “altrove”.
E risulta immediatamente che la follia come
destino, tema principale di molti racconti di Lovecraft, ove i protagonisti
spesso impazziscono di fronte alla verità cosmica ricordi un po’ proprio la
vita di Ozzy. Vieppiù, i Sabbath, con testi come Paranoid non hanno
fatto altro che riflettere la fragilità mentale e l’ossessione. Per non parlare
di Patient n. 9 di Ozzy Osbourne.
Lovecraft nel metal dopo Ozzy
Il varco aperto dai Sabbath con Behind the
Wall of Sleep è stato poi attraversato da molte altre band:
Metallica con The Call of Ktulu (1984)
e The Thing That Should Not Be (1986);
Electric Wizard, intero filone doom con brani
come Dunwich;
Fields of the Nephilim, con atmosfere
lovecraftiane nei testi e nei titoli.
Ozzy non proseguì su quella linea in modo
sistematico, ma la sua voce resta il primo grido metal che abbia evocato
l’universo lovecraftiano.
Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft non hanno mai condiviso lo stesso linguaggio, né le stesse fonti. Il primo guardava al cinema horror e al vissuto psichedelico; il secondo, alla letteratura fantastica e alla filosofia dell’ignoto. Ma entrambi hanno cercato di dare forma allo stesso sentimento: l’orrore di fronte a un universo che ci supera.
Behind the Wall of Sleep rimane il simbolo di questo incontro mai avvenuto, un titolo
che unisce la voce del metal e la penna del weird, e che dimostra come la
cultura popolare e la letteratura possano incontrarsi nei corridoi oscuri della
nostra immaginazione.