venerdì 12 dicembre 2025
giovedì 4 dicembre 2025
Oltre il Velo di R’lyeh: Lovecraft, il Cosmo e l’Alchimia Nera del Moderno
Derleth lo rese di nuovo sacro, per errore.
Grant lo trasformò in sistema religioso operativo.
Le tradizioni magiche contemporanee lo hanno assunto come archetipo vivente.
Come scrisse Frenschkowski, Lovecraft è divenuto autore sia di finzione sia di religione.
Il suo mito, nato rotto, è stato “riparato” dall’occultismo contemporaneo, riconsegnato non alla ragione ma alla notte dello spirito.
Forse perché il moderno, nella sua freddezza, aveva esiliato qualcosa:
il selvaggio, l’irrazionale, il bestiale, il delirante, il visionario.
I Grandi Antichi sono il ritorno di ciò che abbiamo rimosso.
Il loro risveglio non è astronomico — è psicologico.
E forse, in fondo, Lovecraft lo sapeva.
martedì 11 novembre 2025
Ambientato nel gennaio del 1924, il romanzo costruisce un fitto scambio di lettere che diventa il pretesto per immergere il lettore in un’America attraversata da superstizioni, sedute spiritiche e medium pronti a sfruttare il dolore altrui. Da Arkham — luogo simbolico più che geografico — Lovecraft riferisce a Houdini le sue indagini su una setta di spiritisti attiva nel New England, un ambiente fatto di riti inquieti e zone d’ombra che mettono in discussione ogni certezza. Houdini, fedele alla sua battaglia contro truffatori e falsi profeti, replica con un caso altrettanto misterioso: quello di Lady Evangeline, figura affascinante e pericolosa, la cui capacità di evocare i morti sembra essere solo la punta di un inganno molto più insidioso.
La forza del racconto risiede nella dialettica tra i due protagonisti. La loro corrispondenza diventa un terreno in cui si misurano due visioni del mondo: da un lato la mente analitica e smascheratrice di Houdini, dall’altro la sensibilità visionaria di Lovecraft, aperta a intuizioni che sfiorano l’abisso. Nel loro scambio prende forma un intreccio di dubbi, rivelazioni e timori che oscilla tra logica e mito, tra la concretezza dell’indagine e l’irruzione dell’inspiegabile.
Il lettore viene condotto in un percorso popolato da falsi veggenti, manipolazioni psicologiche, riti oscuri e presenze che sembrano uscite più dal subconscio che dal mondo sensibile. Man mano che le lettere si susseguono, la tensione cresce, lasciando emergere l’idea di un male sottile, insinuante, capace non solo di confondere i sensi ma di minare la percezione stessa della realtà.
Quello che distingue Lovecraft e Houdini Indagano è la capacità di amalgamare sapientemente materiali storici, fantasia narrativa e suggestioni gotiche. Il carteggio immaginario diventa così una lente attraverso cui esplorare l’epoca, ma anche un dispositivo letterario che dà vita a un dialogo sorprendentemente credibile tra due icone del secolo scorso. Ne nasce un racconto che conquista gli appassionati di narrativa fantastica, affascina chi ama i retroscena storici e soddisfa chi cerca storie in cui realtà e illusione si confondono fino a diventare indistinguibili.
Fra atmosfere nebbiose, ambienti carichi di tensione e svelamenti graduali, il lettore viene trascinato in una ricerca che non riguarda soltanto i fenomeni apparentemente paranormali, ma anche ciò che si nasconde sotto la superficie della percezione. Un viaggio che celebra lo spirito degli anni Venti e restituisce, in forma narrativa, l’incontro tra due menti destinate a incrociarsi in un territorio comune: quello in cui nasce e cresce il mistero.
venerdì 7 novembre 2025
Dai Miti di Cthulhu ad Archive 81: l’eco cosmica di Lovecraft nell’horror contemporaneo
Proseguendo nella nostra cavalcata tra le serie tv più Lovecraftiane non poteva mancare "Archive 81". Sappiamo bene che nel vasto panorama dell’horror moderno, poche figure sono state tanto pervasive e inafferrabili quanto quella di H. P. Lovecraft. altrettanto bene sappiamo che "il Sognatore di Providence" non ha soltanto inventato mostri ma ha costruito una nuova percezione dell’universo, in cui l’uomo è un frammento insignificante, immerso in un cosmo indifferente e ostile. La sua poetica del cosmicismo, come lui stesso la definiva, è diventata la lente con cui leggere non solo l’orrore, ma anche la fragilità della conoscenza umana.
Quasi un secolo dopo, questa visione continua a vibrare in forme narrative apparentemente lontane. È il caso di Archive 81, serie Netflix ideata da Rebecca Sonnenshine, che unisce l’orrore soprannaturale all’estetica delle found footage e della tecnologia analogica. Dietro la storia di videocassette bruciate, di culti misteriosi e di entità aliene che si insinuano attraverso lo schermo, si nasconde la stessa vertigine metafisica che Lovecraft aveva descritto nei suoi racconti più celebri: Il richiamo di Cthulhu e I sogni nella casa stregata.
Per comprendere quanto Archive 81 debba al Maestro di Providence, occorre tornare ai fondamenti del suo universo narrativo.
Ne "Il richiamo di Cthulhu", Lovecraft costruisce una mitologia in cui l’umanità è solo un’infinitesima frazione di un cosmo popolato da forze antiche e indifferenti. Gli esseri che abitano queste dimensioni — i “Grandi Antichi” — non sono spiriti o demoni, ma entità materiali e amorali, la cui semplice esistenza basta a incrinare la nostra concezione della realtà.
Nel racconto, un antico culto venera Cthulhu, una creatura che giace addormentata nelle profondità dell’oceano e la cui riemersione segnerebbe l’inizio di una nuova era. La sua influenza si propaga attraverso i sogni dei sensibili, portando pazzia e ossessione: la mente umana non può sostenere la verità cosmica.
Ne "I sogni nella casa stregata", Lovecraft approfondisce questa idea spostandola sul piano dimensionale: il protagonista Walter Gilman, attraverso la geometria non euclidea, riesce ad attraversare i confini dello spazio-tempo, solo per trovarsi di fronte a un orrore che sfugge a ogni principio razionale.
In entrambi i casi, il confine tra scienza e occulto è sottile, e l’orrore nasce proprio dal momento in cui il pensiero umano tenta di oltrepassarlo. È qui che il “materialismo” lovecraftiano — la convinzione che anche il soprannaturale sia spiegabile come parte del mondo naturale — si fonde con la metafisica del terrore.
"Archive 81" parte da un presupposto semplice: un archivista video, Dan Turner, viene incaricato di restaurare vecchie videocassette danneggiate da un incendio nel misterioso condominio Visser. Quelle cassette, girate nel 1994 dalla dottoranda Melody Pendras, documentano la vita degli inquilini dell’edificio — una comunità che nasconde una setta decisa a evocare una divinità interdimensionale di nome Kaelego.
Da questa trama, apparentemente convenzionale, Sonnenshine costruisce un intreccio di piani temporali, dimensioni parallele e suggestioni filosofiche. Come in Lovecraft, la conoscenza è il primo passo verso la dannazione: Dan, man mano che restaura i nastri, non solo scopre la verità dietro l’incendio del Visser, ma inizia a interagire con ciò che i nastri contengono, fino a varcare lui stesso il confine tra mondi.
L’analogia con I sogni nella casa stregata è evidente: se Walter Gilman attraversava i confini del reale attraverso le geometrie oniriche, Dan lo fa attraverso le immagini registrate.
Lo schermo diventa la nuova finestra sull’ignoto, il medium tecnologico che sostituisce il sogno. Guardando i nastri, Dan non è più solo un restauratore, ma un viaggiatore cosmico, un involontario esploratore di una realtà che non può comprendere.
Le videocassette assumono il ruolo dei sogni lovecraftiani: comunicano attraverso il tempo, annullano i limiti dello spazio e, soprattutto, alterano la mente di chi le osserva. La discesa nella paranoia di Thomas Bellows, il predecessore di Dan, ricorda i visionari che nei racconti di Lovecraft sprofondano nella follia dopo aver visto troppo. In entrambi i casi, la conoscenza è un contagio.
Oltre alla struttura narrativa, "Archive 81" eredita da Lovecraft anche la sua rappresentazione dell’occulto.
La Vos Society, la setta che venera Kaelego, incarna l’archetipo del culto lovecraftiano: antiche radici, rituali sanguinosi, idoli di pietra e una lingua misteriosa. I loro canti — “Due mondi come uno, quando il cielo notturno brucia…” — riecheggiano le formule arcaiche di R’lyeh.
Come nel racconto in cui l’ispettore Legrasse scopre la statua di Cthulhu durante un rituale in Louisiana, anche qui il simbolismo passa attraverso oggetti materiali: statue, sale rituali, strumenti astrologici. La pietra scolpita di Kaelego, con la sua anatomia mostruosa e ambigua, è quasi un gemello del Cthulhu lovecraftiano.
Sonnenshine, tuttavia, compie un passo ulteriore: collega il culto non solo alla paura, ma anche al desiderio di consolazione. I seguaci non sono fanatici disumani, ma persone ferite — come Iris Vos, che tenta il rituale per riavere il figlio perduto. L’orrore nasce qui da una motivazione umana, non dalla semplice sete di distruzione.
Lovecraft avrebbe disapprovato questo impulso empatico: nel suo mondo, l’universo è indifferente al dolore umano. Ma proprio questa differenza segna la forza contemporanea della serie, che traduce il cosmicismo in chiave emotiva.
Un’altra eredità diretta del mondo lovecraftiano è la fusione tra scienza, spiritualismo e mistica.
Rebecca Sonnenshine ha dichiarato di essersi ispirata al revival spiritualista degli anni ’20, quando, dopo la Prima Guerra Mondiale, il bisogno di contatto con i defunti si intrecciava alle nuove scienze dell’occulto. Non a caso, la serie cita esplicitamente la Teosofia, il “terzo occhio” e l’influenza delle stelle e delle comete.
In "Archive 81", la cometa Kharon, che assottiglia il velo tra i mondi, svolge la stessa funzione della disposizione astrale in "Il richiamo di Cthulhu": un ordine cosmico che, una volta allineato, permette il ritorno del divino.
L’idea che l’universo sia un sistema di forze cieche, ma interconnesse, attraversa tanto la letteratura di Lovecraft quanto la spiritualità novecentesca. La serie ne fa un’allegoria del nostro tempo: un’epoca in cui la tecnologia — le videocassette, gli schermi, la rete — è il nuovo medium del trascendente.
Eppure, ciò che rende "Archive 81" un vero erede dell’orrore lovecraftiano non è soltanto la presenza di mostri o rituali, ma la sua visione epistemologica.
Lovecraft concepiva l’orrore come una forma di conoscenza: la scoperta che il mondo è infinitamente più grande, indifferente e incomprensibile di quanto possiamo sopportare. Dan Turner, come molti protagonisti di Lovecraft, diventa un testimone di questa consapevolezza.
Nel momento in cui attraversa la soglia tra i mondi, non solo incontra il mostruoso, ma si confronta con il limite stesso della percezione umana.
In questo senso, "Archive 81" aggiorna il messaggio del cosmicismo: non più la paura dell’universo, ma la paura di comprendere troppo. L’orrore nasce dal gesto conoscitivo, dal tentativo di decifrare l’ignoto attraverso la tecnologia, la memoria, l’immagine.
Lovecraft scriveva che “la più antica e potente emozione dell’uomo è la paura, e la più antica e potente forma di paura è la paura dell’ignoto.”
"Archive 81" è, in fondo, un racconto sull’ignoto trasposto nel linguaggio visivo e tecnologico della nostra epoca. Laddove Lovecraft usava manoscritti e sogni, Sonnenshine usa videocassette e monitor. Ma la tensione è la stessa: la curiosità che apre un varco verso il caos.
Attraverso Kaelego, il Visser e i suoi nastri maledetti, la serie ci ricorda che l’orrore non è solo una questione di mostri, ma di prospettiva. In un universo che ci osserva senza vederci, la vera paura non è la morte o la perdita, ma l’invisibilità: la scoperta che la nostra esistenza, come quella dei personaggi di Lovecraft, è solo un riflesso tremolante su un vecchio schermo che qualcuno, altrove, ha appena riavvolto.
lunedì 27 ottobre 2025
H.P. Lovecraft: l’Arco dei Miti di Cthulhu
La
popolarità di Howard Phillips Lovecraft è in costante crescita. Ha “marchiato”
il mondo con i suoi mostri: esseri indescrivibili, geometrie non euclidee e con
la sua filosofia radicalmente anti-antropocentrica che, ancor oggi nel 2025, attraversa
oggi tutti i generi e le forme artistiche. Per comodità l’evoluzione dei Miti
in tre livelli.
IL TERZO LIVELLO
Oggi dopo decenni di adattamenti e appropriazioni, l’universo lovecraftiano torna a guardarsi allo specchio. È il momento della riflessione e della critica, del confronto con l’uomo dietro il mito, con Howard Phillips Lovecraft e i suoi demoni, non più cosmici ma umani.
In questa nuova versione, gli autori contemporanei usano il Mito non per espanderlo, ma per metterlo in discussione: per rivelarne le ombre ideologiche, il razzismo, la misoginia, la paura dell’altro che permeava la visione del mondo in quel contesto storico sulla East Coast.
Quindi Lovecraft diventa personaggio
Nei romanzi The Night Ocean (Paul La Farge, 2017), Lovecraft Country (Matt Ruff, 2015) e nella trilogia The Courtyard / Neonomicon / Providence (Alan Moore e Jacen Burrows, 2003–2017), Lovecraft non è più un autore onnipotente: è un personaggio fragile, ambiguo, talvolta colpevole.
giovedì 25 settembre 2025
Ozzy Osbourne e H. P.
Lovecraft: l’eco dell’orrore cosmico
Ci sono incontri che non avvengono mai, ma che sembrano
inevitabili. Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft appartengono a mondi lontanissimi:
il primo, figlio della working class di Birmingham, diventato la voce più
riconoscibile e controversa dell’heavy metal; il secondo, Sognatore di
Providence, perché solitario non era assolutamente, artefice di un immaginario
letterario che ha rivoluzionato la narrativa weird horror.
Eppure, quando si ascoltano i primi album dei Black Sabbath, di
cui Ozzy in origine era la voce, e si leggono i racconti lovecraftiani, appare
chiaro che i loro testi condividano lo stesso oscuro respiro: l’angoscia
dell’ignoto, la fascinazione per il sogno, la paura del cosmo e l’orrore
indicibile, che non si può descrivere.
La connessione più diretta si trova nel brano “Behind the Wall
of Sleep”, contenuto nell’album d’esordio dei Black Sabbath (1970), il cui
titolo rimanda al racconto lovecraftiano Beyond the Wall of Sleep
(1919). Ma le analogie non si fermano qui. Attraverso atmosfere, testi e
visioni, Ozzy e Lovecraft hanno costruito due linguaggi paralleli, capaci di
dare voce a una stessa intuizione: l’uomo è fragile e insignificante di fronte
alle forze oscure dell’universo.
Lovecraft e il terrore cosmico
Per comprendere le affinità, occorre ricordare i tratti
fondamentali dell’estetica lovecraftiana.
Lovecraft definiva la sua narrativa come “weird fiction”, una
letteratura del perturbante, che si nutriva della paura dell’ignoto più che
dell’orrore esplicito. In un passaggio celebre, il padre di Cthulhu scrive:
“La più antica e potente emozione umana è la paura, e la più
antica e potente forma di paura è la paura dell’ignoto.” (Supernatural
Horror in Literature, 1927)
Nei suoi racconti, il terrore non nasce dalla presenza di un
mostro visibile, ma dall’idea che oltre i confini della percezione si celino
forze cosmiche incomprensibili. Il cosiddetto cosmicismo è la visione
filosofica che sottende la sua opera: l’universo è vasto, indifferente e
ostile, e l’essere umano occupa un posto insignificante.
Questo sentimento pervade racconti come “Il Richiamo di Cthulhu”
(1926), “L’Ombra su Innsmouth” (1931) o il romanzo “Alle Montagne della Follia”
(1931). Non solo: i sogni giocano un ruolo essenziale nella poetica
lovecraftiana, tanto da dar vita a un vero e proprio “Ciclo Onirico”, dove
mondi paralleli si rivelano attraverso stati di coscienza alterati.
I Black Sabbath e la
nascita del metal oscuro
Quando i Black Sabbath debuttarono con l’album
omonimo nel 1970, il mondo del rock era ancora dominato dalla psichedelia e dal
blues rock. Tony Iommi, Geezer Butler, Bill Ward e Ozzy Osbourne cambiarono le
regole e trascinarono nella musica un’oscurità inedita.
Il brano d’apertura, “Black Sabbath”, con il
suo riff tritonico e i tuoni in sottofondo, evocava immediatamente un’atmosfera
di terrore. Ozzy cantava:
“What is this that stands before me?
Figure in black which points at me...”
Non c’erano più colori psichedelici o inni
alla pace, ma visioni di presenze oscure, demoniache, oniriche. Lo stesso
Geezer Butler ricordava:
“La gente andava al
cinema a vedere film horror. Noi pensammo: perché non creare musica che
trasmetta le stesse sensazioni?” (intervista a Rolling Stone, 2017).
Il linguaggio musicale dei Sabbath era dunque
già vicino a quello di Lovecraft: entrambi puntavano a evocare un orrore
indefinito, a lasciare immaginare più che a descrivere.
Behind the Wall of Sleep
– il varco lovecraftiano
Nella follia di Ozzy riecheggia quella degli
sfortunati protagonisti dei racconti di H. P. Lovecraft, eppure il collegamento
più concreto tra Ozzy e Lovecraft si trova in “Behind the Wall of Sleep”,
secondo brano del primo album dei Sabbath.
Il racconto lovecraftiano
In “Beyond the Wall of Sleep” (1919),
Lovecraft narra la vicenda di un internato in un ospedale psichiatrico che,
durante le ore di sonno, sembra trasformarsi in un essere luminoso, proveniente
da un’altra dimensione. Il narratore, grazie a una macchina telepatica, entra
in contatto con questo spirito e scopre un universo vastissimo, popolato da
entità cosmiche. Il racconto ruota intorno a due elementi centrali: il sogno
come portale-soglia verso altre realtà, e la rivelazione che la coscienza umana
è solo un riflesso di energie cosmiche incomprensibili.
Il brano dei Black Sabbath
Il testo della canzone omonima scritto da
Geezer Butler e cantata da Ozzy, recita:
“Visions cupped within a
flower
Deadly petals with
strange power
Faces hidden in an
endless maze
With the mind they travel
miles...”
Non trovo un parallelo diretto con la trama
del racconto. La canzone sembra piuttosto parlare di droghe e stati di
coscienza alterati, descrivendo un viaggio mentale. Tuttavia, l’eco
lovecraftiano resta evidente nel titolo, e nella suggestione che la mente possa
viaggiare “oltre” la realtà percepibile.
Molti studiosi della cultura metal hanno
sottolineato come “Behind the Wall of Sleep” costituisca un ponte simbolico tra
la letteratura di Lovecraft e la musica heavy metal. Non un adattamento fedele,
ma un omaggio estetico che aprì la strada a generazioni di musicisti che
avrebbero saccheggiato l’immaginario lovecraftiano con maggiore consapevolezza
(Metallica, Electric Wizard, Cathedral, ecc.).
Al di là di questa canzone, dal titolo evidentemente
lovecraftiano, i parallelismi tra Ozzy/Lovecraft sono numerosi. Se si analizza,
infatti, il tema il terrore dell’ignoto, a tutti risulta evidente che Lovecraft
lo teorizzava nelle sue opere mentre Ozzy lo urlava dal palco. Canzoni come Black
Sabbath o Children of the Grave evocano presenze oscure e
incontrollabili.
Riguardo il tema dell’alienazione cosmica
troviamo in Planet Caravan e Into the Void, l’uomo che vaga nello
spazio infinito e l’idea che l’universo sia troppo vasto per essere compreso è
tipicamente lovecraftiana.
Che dire poi del tema onirico e delle visioni?
Lovecraft ambientava interi cicli narrativi nei sogni. Ozzy cantava esperienze
psichedeliche e oniriche, frutto di droghe e visioni: due vie diverse per
accedere allo stesso “altrove”.
E risulta immediatamente che la follia come
destino, tema principale di molti racconti di Lovecraft, ove i protagonisti
spesso impazziscono di fronte alla verità cosmica ricordi un po’ proprio la
vita di Ozzy. Vieppiù, i Sabbath, con testi come Paranoid non hanno
fatto altro che riflettere la fragilità mentale e l’ossessione. Per non parlare
di Patient n. 9 di Ozzy Osbourne.
Lovecraft nel metal dopo Ozzy
Il varco aperto dai Sabbath con Behind the
Wall of Sleep è stato poi attraversato da molte altre band:
Metallica con The Call of Ktulu (1984)
e The Thing That Should Not Be (1986);
Electric Wizard, intero filone doom con brani
come Dunwich;
Fields of the Nephilim, con atmosfere
lovecraftiane nei testi e nei titoli.
Ozzy non proseguì su quella linea in modo
sistematico, ma la sua voce resta il primo grido metal che abbia evocato
l’universo lovecraftiano.
Ozzy Osbourne e H. P. Lovecraft non hanno mai condiviso lo stesso linguaggio, né le stesse fonti. Il primo guardava al cinema horror e al vissuto psichedelico; il secondo, alla letteratura fantastica e alla filosofia dell’ignoto. Ma entrambi hanno cercato di dare forma allo stesso sentimento: l’orrore di fronte a un universo che ci supera.
Behind the Wall of Sleep rimane il simbolo di questo incontro mai avvenuto, un titolo
che unisce la voce del metal e la penna del weird, e che dimostra come la
cultura popolare e la letteratura possano incontrarsi nei corridoi oscuri della
nostra immaginazione.
mercoledì 20 agosto 2025
La Creatura di Gyeongseong e L’Orrore di Dunwich
Oggi nasceva H. P. Lovecraft. Oggi nasceva un mito che ha solcato i secoli, è proprio il caso di dirlo, per declinarsi in decine, se non centinaia di narrative.
Ed ecco che lo ritroviamo, ancora una volta, in La creatura di Gyeongseong, a cui abbiamo già dedicato un post il mese scorso. La serie tv si distingue per la sua miscela di horror, storia e dramma umano. Una delle chiavi di lettura più affascinanti della serie è il suo possibile legame con l’opera di H.P. Lovecraft, in particolare con L’orrore di Dunwich e il rapporto tra Lavinia Whateley e la creatura mostruosa generata dall’unione con l’entità ultraterrena Yog-Sothoth.
Nel racconto lovecraftiano, Lavinia Whateley è una figura di madre tragica e ambigua. È descritta come una donna albina e deforme, che dà alla luce non solo un figlio umano, Wilbur, ma anche una creatura mostruosa, frutto di una sinistra unione con Yog-Sothoth, entità cosmica e aliena. Questo legame rappresenta la fusione tra l’umano e l’ignoto, il naturale e il sovrannaturale, con tutte le implicazioni di perdita d’umanità, paura e mistero.
In La creatura di Gyeongseong, assistiamo a una dinamica simile, seppur contestualizzata in un contesto storico e culturale completamente differente. La madre di Yoon Chae-ok è trasformata in una creatura mostruosa a seguito di esperimenti scientifici segreti, riflettendo l’orrore della manipolazione genetica e del colonialismo. Questo legame madre-figlia, intriso di amore ma segnato dalla mostruosità, echeggia la relazione tra Lavinia e la sua creatura, ponendo in luce il tema universale della maternità come fonte di vita ma anche di orrore.
Uno degli aspetti più significativi nel confronto tra le due opere riguarda l’origine dell’orrore. Lovecraft inserisce l’orrore in un contesto sovrannaturale e cosmico, dove entità antiche e incomprensibili dominano la realtà. L’Orrore di Dunwich nasce dalla magia, dall’occulto e dal rapporto con divinità aliene, che trascendono la comprensione umana.
La creatura di Gyeongseong, invece, sposta la radice dell’orrore verso la scienza e la storia: esperimenti genetici e la realtà brutale dell’occupazione giapponese della Corea negli anni ’30. L’orrore qui diventa più tangibile, più “storico”, eppure altrettanto profondo e perturbante. La creatura rappresenta non solo la paura ancestrale, ma anche la conseguenza di azioni umane, di violenza e dominio.
Entrambe le narrazioni esplorano la tensione tra umanità e mostruosità, ma lo fanno da prospettive diverse. Lavinia Whateley è vittima e complicata custode di un segreto oscuro che sconvolge i confini tra ciò che è umano e ciò che non lo è. Nella serie coreana, la madre di Chae-ok diventa un simbolo del dolore collettivo e personale, un ponte tra passato e presente, umano e altro.
La maternità, in entrambi i casi, si fa metafora del legame indissolubile con la creatura dell’orrore. Un legame che non si limita alla biologia, ma abbraccia la paura, la perdita e l’accettazione di ciò che non può essere controllato.
Quindi, pur nelle loro differenze, La creatura di Gyeongseong e L’Orrore di Dunwich condividono una profonda esplorazione delle dinamiche tra umano e mostruoso, tra amore e terrore. La serie coreana non è una semplice trasposizione del mito lovecraftiano, ma una rielaborazione che unisce l’orrore cosmico con le tragedie storiche, la scienza e le tensioni culturali.
Il legame tra Yoon Chae-ok e sua madre si configura così come una potente metafora contemporanea del conflitto tra identità e oppressione, tra il desiderio di preservare ciò che ci rende umani e la paura dell’ignoto che ci trasforma.



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